Un patto sociale per l’istruzione
La protesta che ha visto in questi ultimi due mesi più di 18 istituti superiori romani occupati, cortei con migliaia di manifestanti contro l'ormai famoso disegno di legge Aprea ''Norme per l'autogoverno delle istituzioni scolastiche statali'' che, oltre a sostituire i consigli di istituto con i consigli di amministrazione (organi tipicamente aziendali), così com'è formulato, a detta di molti, potrebbe eliminare del tutto il diritto di rappresentanza degli studenti, escludendo definitivamente i ragazzi dai luoghi decisionali delle loro scuole.
Contro questo "furore efficientista" che colpisce l'impianto stesso della scuola pubblica, l'indignazione degli studenti si configura come vera e propria rivolta valoriale.
Una rivolta contro lo slittamento dell'attenzione, migrata dal polo culturale e formativo della società costituito dalla scuola e dai suoi processi di innovazione, cambiamento e qualificazione, a quello meramente macro-economico e finanziario, gestito invece dalle banche, dagli spread e dai diversi Fondi Monetari ed al tentativo di farla soggiacere alla loro logica.
La scuola denuncia così con la voce di tutte le sue componenti, una crisi etica della società, una flessione dei valori, soppiantati da uno sguardo fissato ossessivamente sul differenziale tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi, portabandiera di una politica monetaria 'rigorosa', sulle aspettative dei mercati o sulle valutazioni delle agenzie di rating, ha sequestrato la speranza collettiva e non si dispiega invece su progetti di lungo respiro, sui quali i giovani possano confrontarsi, inserirsi e credere in loro stessi.
Si ha bisogno realmente di un patto sociale che punti sulla scuola quale fattore di cambiamento, miglioramento, assunzione di responsabilità, nell'impegno comune a cercare di capire una società in continua evoluzione, un patto che educhi alla flessibilità, alla passione educativa, alla sobrietà di vita, ad una scuola aperta al territorio ventiquattro ore su ventiquattro, che raccolga bisogni ed elabori proposte, che coinvolga forze sociali ed organismi di rappresentanza da coniugare con l'impianto formativo specifico, educhi al confronto multiculturale e multireligioso, in un processo aperto e partecipativo.
La scuola di oggi con le sue voci di dissonanza e di costruzione ma anche con l'enorme esperienza acquisita nel tempo, rivendica una diversa impostazione della crisi: la necessità di rivedere i modelli sin qui consolidati e generalmente improntati alla separatezza e all'autosufficienza delle varie filiere educative e formative, per arrivare ad un'offerta formativa realmente orientata al successo di ognuno secondo le sue potenzialità ed attitudini, combinando intelligentemente il sapere col saper fare e con il saper essere, costruendo percorsi formativi alternativi e magari in alternanza, ma convergenti su obiettivi comuni di autorealizzazione della persona e della sua occupabilità.
Va completato il processo dell'autonomia scolastica che utilizzando strumenti come visibilità, integrazione, collegialità, può realmente mettere le ali all'imprenditorialità educativa e formativa. Perché allora, se non per uno sguardo miope, organi ufficiali d'informazione si ostinano a guardare "ideologicamente" la protesta come se fosse "di destra o di sinistra" senza coglierne la trasversalità ed aprendo serenamente un tavolo di confronto con tutti gli operatori della scuola? "Perché avete voluto occupare?" ho chiesto stamattina ad uno studente che con alcuni altri ha occupato per una settimana l'Istituto tecnico dove insegno. "Perché abbiamo voluto farvi vedere che per imparare non abbiamo bisogno di voi'' ha risposto. Risposta categorica e provocatoria, che però veicolava un istanza d'aiuto: "Se non ci insegnate a vivere (dimensione formativa), le informazioni (dimensione nozionistica) possiamo andare a prendercele da soli, da mille fonti diverse (compresa la rete web con tutti i suoi rischi e pericoli).
Al di là dei commenti di alcuni (pochi) colleghi che riflettevano sentimenti negativi come la paura di un esame di coscienza sulla propria efficienza didattica, di una insorgente incapacità di rimettersi in gioco, o di una resa dichiarata di fronte al fallimento degli obiettivi perseguiti da tempo, la disponibilità del corpo insegnante a ripensare in termini propositivi il rapporto educativo è fuori discussione. Ma torniamo alle ragioni della protesta degli studenti: c'è ancora da dargli torto?
La scuola reale è molto più avanti di quanto si crede e si predica dal pulpito mediatico: sarebbe sufficiente sburocratizzare gli apparati medio-alti dell'istituzione e dare una mano per costituire reti di scuole, prevedendo attività che esaltino la specificità che risiede nella didattica e nella partecipazione al processo educativo, delimitando i poteri degli esterni negli organi collegiali. Per arrivare a questo bisognerebbe però riqualificare la spesa pubblica, spostando risorse da sprechi e prebende ormai da un pezzo fuori dal tempo, a favore dell'istruzione e non tagliare sull'orario di lavoro aumentandolo arbitrariamente senza compensi, non frenando l'adeguamento dello stipendio (penultimo in Europa), di tutto il personale, non immiserendo i fondi erogati agli Istituti per l'offerta formativa complessiva, dopo gli enormi sacrifici richiesti finora: 8 miliardi in 3 anni. È questione di un
corretto punto di partenza.