Un Patto per l’Islam italiano
Nel clima di disagio reciproco e spesso di vera paura che si vive anche nel nostro Paese, come in tutto l’Occidente, in particolare in Europa, un accordo di questo tipo, sebbene rappresenti solo un primo passo, rimane significativo. Il documento ha, infatti, finalità precise: spingere verso integrazione e comprensione reciproca, scacciare i fantasmi dell’estremismo dello Stato islamico che «vuole conquistare Roma» e allontanare «il germe del sospetto» tra persone che hanno una fede diversa ma abitano nello stesso Stato. Come detto, è un primo atto volto a realizzare questi punti, ma dimostra la buona volontà sia del governo che delle diverse comunità musulmane presenti sul nostro territorio nazionale di collaborare per scongiurare i veri pericoli che ci troviamo ad affrontare in questa nostra epoca: la radicalizzazione di una frangia della popolazione islamica già presente in Italia, la serie di attentati che hanno insanguinato l’Europa negli ultimi due anni, la potenziale presenza di schegge impazzite che agiscono come terroristi fai-da-te per non parlare di giovani che decidono di diventare foreign fighters all’interno dell’Isis. Ma non solo. Altrettanto pericolosa è l’islamofobia, spesso gratuita e, comunque, sempre irrazionale che può dar vita a scene altrettanto raccapriccianti come quella del recentissimo attacco in una moschea del Quebec.
Il documento firmato dal Ministro Minniti e dai rappresentanti delle comunità islamiche, onde «proseguire nell’azione di contrasto dei fenomeni di radicalismo religioso» propone di «promuovere la formazione di imam e guide religiose» che «possano anche assumere il ruolo di efficaci mediatori per assicurare la piena attuazione dei principi civili di convivenza». Inoltre, mette a fuoco la necessità di trasparenza per assicurare fiducia reciproca e vera integrazione. Le comunità musulmane, per questo, si impegnano a pubblicare nomi e recapiti degli imam, i cui sermoni saranno tenuti o, comunque, tradotti in lingua italiana. Particolare cruciale è quello che riguarda i finanziamenti che dovranno essere resi verificabili. Si parla anche dei luoghi di preghiera che «saranno accessibili ai visitatori non musulmani». Come ha sottolineato Minniti, «questa massima trasparenza sarà un arma per combattere il germe del sospetto, che avvelena le relazioni umane». Non ultimo, ancora riguardo ai luoghi di preghiera, si precisa che essi dovranno assicurare «standard decorosi e rispettosi delle nome vigenti in materia di sicurezza e di edilizia».
Da parte sua, il Ministero degli Interni si adopererà per assicurare che l’esperienza dei ‘tavoli interreligiosi’ possa estendersi all’interno dei consigli territoriali per l’immigrazione delle prefetture, in modo da offrire all’islam italiano uno spazio di confronto diretto con le istituzioni locali. Uno sguardo importante è quello che il Viminale vuole rivolgere alle nuove generazioni, promuovendo incontri con giovani musulmani, «soprattutto quelli di seconda generazione». Inoltre, i Comuni italiani, riuniti all’Anci, saranno sollecitati ad affrontare il problema di sedi e aree adeguate per le moschee. Si tratta di un nodo che, in passato, ha prestato il fianco a non poche polemiche.
Commentando la firma del documento il Ministro degli Interni ha sottolineato che «possiamo professare religioni diverse, ma siamo tutti italiani», precisando che non è compito dello Stato dare delle regole alle varie religioni. Piuttosto, «lo Stato può fare intese con loro, accordarsi su diritti e doveri: è un incontro di libere volontà». Il Patto rappresenta un punto di avvio per un percorso che «riguarda il presente e soprattutto il futuro dell’Italia, verso cui procedere attraverso il dialogo religioso». Sono atti di questo tipo, raggiunti di comune accordo e, anche con trattazioni non sempre semplici e scontate, che si può guardare al futuro evitando pericolosi equazioni «tra religione e terrorismo» e paure ingiustificate da entrambe le parti.
Al Patto firmato ieri hanno aderito undici associazioni che rappresentano, secondo calcoli piuttosto approssimativi, il 70% della popolazione di religione musulmana nel nostro Paese. Si tratta di: Unione delle comunità islamiche italiane (Ucoii) Cii, Cici, Coreis, Uami, Associazione Cheikh Ahmadou Bamba, Associazione Madri e Bimbi somali, Associazione italiana imam e guide religiose, Moschea di Palermo, Admi, Associazione italo-pakistana Muhammadiah.
A proposito delle reazioni da parte musulmana, la Coreis ha rilasciato un comunicato stampa in cui si chiarisce che «in quanto cittadini italiani, non sentiamo l’esigenza di giustificarci dagli errori dell’islam politico e dagli orrori del terrorismo che non ci rappresentano e che vanno perseguiti secondo giustizia come disordine e criminalità. In quanto credenti in Dio, non sentiamo l’opportunità di giustificarci dagli errori dell’islam politico e dagli orrori del terrorismo che non ci rappresentano e che invece hanno perseguitato e continuano a perseguitare proprio i nostri maestri e fratelli nella fede e nella sensibilità contemplativa e intellettuale, siano essi musulmani, cristiani o ebrei». Per questo la Coreis ha deciso di aderire al Patto Nazionale con il Ministro dell’Interno, «sviluppando ulteriormente una nuova fase di collaborazione istituzionale che possa portare al riconoscimento delle voci autentiche della religiosità islamica per una intesa sempre più consapevole e ben gestita del culto e della cultura islamica tra i cittadini italiani di nascita e di adozione».
Un’ultima considerazione importante, che fa rilevare un esperto di Islam in Italia come Stefano Allievi. Non si deve pensare che l’accordo siglato ieri costringa le comunità islamiche a uscire allo scoperto. Molti dei punti – se non tutti – contenuti nel Patto sono già da tempo realizzati dalle comunità che vivono sul nostro territorio nazionale. La firma di ieri significa garantirle da entrambi le parti e sigillarne l’impegno con una firma istituzionale, che salvaguardi la sicurezza di tutti gli italiani – cristiani e musulmani – e che garantisca il riconoscimento e la piena integrazione di coloro che sono musulmani e italiani allo stesso tempo.
Un primo atto, quindi, di quella integrazione ‘all’italiana’ che può aprire la porta ad altri passi in un panorama sociale e amministrativo dove, colti quasi di sorpresa dal fenomeno migrazioni, mancano punti di riferimento positivi per assicurare modelli sociali sostenibili che prospettino un futuro di convivenze armonizzate dove la diversità sia culturale che religiosa non costituisca un ostacolo, ma possa essere colta in tutta la sua ricchezza.