Un patto educativo per la scuola

Come trasformarla in risorsa per tutto il Paese.

La scuola italiana è in prognosi riservata: la situazione è gravissima, ma il paziente può ancora salvarsi. Ne è convinto Italo Fiorin, pedagogista e presidente della scuola di Alta formazione “Educare all’Incontro e alla Solidarietà” dell’università Lumsa di Roma. «Dirigenti illuminati, docenti appassionati e competenti testimoniano che un’altra scuola è possibile. Il problema diventa come far contare questa ricchezza, come trasformarla in risorsa per tutto il Paese, facendola uscire dai margini della testimonianza».

È necessario, sottolinea il pedagogista, il contributo di tutti gli attori, «della politica, così distratta e priva di un disegno coerente; dell’amministrazione, avviluppata nei grovigli di una burocrazia che crea ritardi più che offrire soluzioni; degli amministratori locali, perché è evidente la correlazione tra qualità della scuola e sollecitudine di sindaci e assessori competenti; delle famiglie, ora frastornate, spesso incattivite, quando non assenti; dei media, che non sanno raccontare la buona scuola che esiste e resiste». C’è allora bisogno, aggiunge Fiorin, di «ricostruire quel patto educativo che, per usare le parole di papa Francesco, si è spezzato. Non bastano i bravi insegnanti, non sono sufficienti i dirigenti illuminati, le tante realtà positive non fanno ancora massa critica. Ma è quanto abbiamo di buono ed è da qui che bisogna ripartire».

Uno strumento per invertire la rotta, secondo il pedagogista Michele De Beni, da anni impegnato nell’insegnamento universitario e nella ricerca educativa, può essere il dialogo, «che fa crescere e sa educarci tutti, giovani e adulti. Serve un pensiero costruttivo. Non c’è posto per il disprezzo per chi non la pensa come noi, né per campanilismi o posizioni di facciata». Serve una “rivoluzione positiva”, nella quale tutte le energie vengono indirizzate verso una soluzione condivisa. Servono, sottolinea De Beni, educatori veri. «La prima e più grande riforma dovrebbe occuparsi di come valorizzare e accompagnare gli insegnanti nel loro arduo compito educativo. Una bella “scuola” – questa – gli uni verso gli altri. Perché, in fondo, ciò ha a che fare con la felicità e con l’amore. Perché il pensare, lo studio e la ricerca vera sono tali se strumenti di vita buona».

Ma come si fa a passare dai problemi del presente, da «una scuola senza autorevolezza, che non insegna niente e non serve a nulla», come afferma lo psichiatra Paolo Crepet, a un’istituzione valida, dove gli studenti possano ricevere il dono della formazione, nonché cultura e rispetto? Per Elisabetta Scala, vicepresidente del Movimento italiano genitori (Moige), serve una nuova alleanza tra insegnanti, famiglie, studenti, con l’aiuto di quanti, anche dall’esterno, possono dare un aiuto. È necessario individuare alcuni punti fermi, aggiunge Italo Fiorin, trasformando quanto c’è di positivo in un sistema integrato e funzionante. «Le migliori esperienze ci dicono che il punto da cui partono, la leva di cui si servono e che può risollevare il mondo dell’educazione è l’aver messo al centro la persona che apprende».

Lo studente, dunque, ma quale? «In una scuola di massa – afferma Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale dirigenti pubblici (Anp) – quello che conta è cosa sanno fare quelli che sanno fare di meno: tutti devono avere un livello di competenze minimo, che non viene sempre garantito». Si torna allora indietro di oltre 50 anni. Il punto di partenza sono gli ultimi. Quelli che ne sanno di meno, come dicevano i ragazzi della scuola di Barbiana di don Milani, nella loro Lettera a una professoressa. «Se si perde loro – scrivevano –, la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati». Ancora oggi.

Le interviste integrali sul dossier “Scuola” scaricabile dal sito.

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