Un passo indietro per fare un passo avanti
Né una rivoluzione, né un nulla di fatto: è sostanzialmente equilibrata la visione di Paolo Feltrin, politologo dell’Università di Trieste, del commentare il disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata. Gli abbiamo rivolto alcune domande.
Professor Feltrin, in questi giorni si è letto il classico “tutto e contrario di tutto” su questo tema: la maggioranza di governo che presenta l’autonomia differenziata come una vittoria, l’opposizione come un rischio per l’unità del Paese, altri ancora hanno osservato che i nodi da definire sono ancora così numerosi e i tempi per l’attuazione così lunghi che è ancora impossibile dire che cosa significhi nei fatti questa riforma. Lei come la vede?
C’è una parte di verità in ciascuna di queste posizioni. Dal punto di vista formale si tratta solo di un disegno di legge, che deve essere approvato da entrambi i rami del Parlamento, e che in ogni caso fornisce solo una cornice all’interno della quale sviluppare un percorso. In un certo senso è un passo indietro, perché fino all’anno scorso le Regioni che avevano voluto intraprendere questo percorso avevano negoziato direttamente con lo Stato le materie di autonomia; in un altro è un passo avanti perché, dopo vent’anni, si è riconosciuto che la riforma costituzionale del 2001 era pasticciata, non si capiva davvero come condurre queste negoziazioni – che infatti si erano sempre concluse con un nulla di fatto -, e che quindi era necessaria una legge nazionale. Dire che si è già ottenuta l’autonomia è sbagliato, dire che è tutto fumo lo è altrettanto; diciamo che è un punto di partenza, che avrà bisogno di lunghi tempi di maturazione – nel merito dei singoli punti la discussione richiederà qualche anno – e di risolvere diversi nodi.
Quali sono i principali?
Innanzitutto definire i Livelli essenziali di prestazione (Lep), di cui si discute da dieci anni; e soprattutto, di conseguenza, come riformare tutto il sistema della tassazione e relativi trasferimenti in modo da gestire autonomamente le materie delegate, in un quadro che deve però rimanere omogeneo a livello nazionale. Su come debba funzionare questa nuova fiscalità nessuno ha mai davvero messo nulla nero su bianco, ed è chiaro che finché non si definisce questo non si va avanti. Strettamente collegato a questo tema c’è poi l’accordo, ancora mancante, sulle forme di compensazione e solidarietà in base all’articolo 119 della Costituzione, che le aree a maggiore capacità fiscale dovrebbero esercitare nei confronti di quelle a minore capacità. C’è peraltro da aggiungere che alcuni giuristi sostengono che serva una legge di rango costituzionale per intervenire su questa materia. Insomma, si è visto che l’autonomia differenziata è molto più complicata del previsto nella sua attuazione; però, ripeto, questa proposta ha fatto sì che quantomeno si cercasse di capirne di più.
In molti hanno fatto notare come l’approvazione sia arrivata proprio a ridosso delle elezioni regionali in Lombardia: l’elettorato considera davvero l’autonomia una materia determinante, oppure, dopo anni di nulla di fatto, è subentrata la disillusione sia in merito alla possibilità di ottenerla che alla sua reale efficacia – pensiamo ad esempio ai problemi che la gestione regionale della sanità ha messo in luce durante la pandemia?
Nelle regioni del Nord il tema è senz’altro sentito: la domanda è quanto, ma in campagna elettorale è meglio poco che niente. In ogni caso parliamo di un tema che già c’era da ben prima di queste elezioni, e che proseguirà anche ben al di là della scadenza elettorale: al massimo le consultazioni possono aver dato un’accelerazione, ma nulla di più, e del resto commistioni tra propaganda e attività politica vera e propria ci sono sempre. Se una vittoria c’è stata da parte delle regioni del Nord, e in particolare da parte di quelle che già avevano avviato i negoziati (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, ndr) è stata quella di aver posto la questione e ottenuto che venisse delineato un percorso: che è comunque ancora tutto da definire, e può potenzialmente interrompersi in ciascuna di queste fasi di definizione – ad esempio, come dicevo prima, sull’eventuale necessità di una legge costituzionale. Diciamo che il risultato è quello di avere fatto chiarezza sul metodo eventuale in attesa di risolvere tutta una serie di altre questioni; che, in quanto complicate, non possono avere una risposta semplice.