Un passo avanti verso gli zingari
Fu l’artefice e l’organizzatore di un incontro speciale, quello tra un papa e gli zingari, avvenuto nel settembre 1965. Paolo VI li ha tratti dall’anonimato della storia, ricorda mons. Bruno Nicolini, bolzanino, da oltre 40 anni a Roma. È il parroco dei nomadi della capitale, 15 mila persone, rom e sinti cattolici, ortodossi e musulmani, ammirati dalla sua presenza. Sono loro che evangelizzano me. Io cerco di testimoniare l’amore e la vita di Gesù. In febbraio, gli è stato consegnato il Premio Campidoglio. Con mons. Nicolini esaminiamo il documento Orientamenti per una pastorale degli zingari, presentato dal pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti e degli itineranti. ¦ Quali motivi hanno reso necessario un tale testo? Sono in atto mutamenti sostanziali, soprattutto a motivo della globalizzazione e della scristianizzazione, per cui c’era bisogno di un documento aggiornato. L’elaborazione del testo è stata lunga e faticosa per le differenti considerazioni del problema da parte degli operatori pastorali e degli esperti. È un documento di passaggio, direi, nel contesto della crisi attuale, in cui viene evidenziato il grave problema dell’indifferenza ecclesiale nei confronti di questo popolo. C’è un richiamo molto forte ai vescovi. Il popolo nomade va riconosciuto, apprezzato e aiutato, attraverso una pastorale specifica, ma anche applicata sul territorio. Gli Orientamenti propongono che all’interno delle conferenze episcopali sia nominato un vescovo che promuova la pastorale degli zingari. Si tratta, infatti, di favorire una conversione non solo degli individui, ma anche della mentalità, di tutto ciò che non è positivo nella loro cultura e che è stato acquisito come meccanismo di difesa. Il documento riconferma l’impegno che la chiesa si assunse nel clima del Concilio Vaticano II attraverso la figura di Paolo VI, ma allo stesso tempo risponde al bisogno di un’ unità nella diversità dei carismi che si spendono su questa frontiera pastorale. ¦ Anche le istituzioni civili sono sollecitate ad un approccio diverso. Il testo attribuisce grande rilievo sia agli organismi internazionali e alle politiche nazionale, sia alle scelte degli enti locali, a diretto contatto con le necessità del popolo zingaro. C’è un vuoto che ancora persiste di carattere giuridico, per cui queste popolazioni soffrono di un’estraneità, di mancata tutela dei diritti fondamentali. Spesso gli enti locali intervengono, ma più sotto la pressione negativa dell’opinione pubblica. E ciò comporta un processo di ulteriore esclusione, mentre servono interventi che tengano conto dell’identità culturale del popolo zingaro per facilitare l’acquisizione dei propri doveri verso la comunità civile. ¦ Anche il documento chiama gli zingari ad un’assunzione di impegni. Sì, li richiama alle loro responsabilità. È un aspetto molto incisivo e doveroso, un appello necessitato dal bene e dal futuro di questo popolo. Se infatti non si realizza un’intesa, la sua condizione di emarginazione potrebbe peggiorare per lo strisciante razzismo in atto. Gli zingari sono sollecitati a migliorare la situazione della donna, a praticare la legalità, l’onesta e la rettitudine nelle attività economiche, a maturare la partecipazione civile e politica. Per la politica e la democrazia, serve un tempo opportuno per questa gente, che viene dalle persecuzioni staliniane e naziste. Vanno loro riconosciuti i passi avanti compiuti: in questi 50 anni si sono dati una lingua comune superando i tanti dialetti. Hanno acquisito la consapevolezza di trasformare la propria cultura orale in una cultura scritta. Non basta più la tradizione, occorre l’innovazione: ed ecco la pubblicazione di libri e riviste in lingua zingara.