Un passo avanti per le donne nella Chiesa
Come valuta il Motu Proprio del papa sull’accesso alle donne al ministero del lettorato e dell’accolitato, finora appannaggio dei soli uomini?
È un segno positivo, vuol dire che stiamo andando avanti. È qualcosa che teoricamente si poteva fare già da tanti anni, ma c’erano delle barriere che la Chiesa sta superando con un cammino di maturazione. Nel 1972 già si diceva che sono ministeri che provengono dal Battesimo, per cui non si capiva perché fossero solo per gli uomini. In quel contesto, abbastanza scombussolato, dopo il Concilio Vaticano II, c’era la paura di un’apertura al sacerdozio femminile. Chiudere la porta di accesso alle donne verso il lettorato e l’accolitato era un modo di abbassare quelle pretese e il fatto che fosse riservato, nel 1972, ai soli uomini, si spiega con il contesto culturale di quegli anni anche se non c’erano motivi ecclesiologici. Oggi a distanza di tanti anni se quella porta si può aprire vuol dire che quei principi ecclesiologici rimangono e sono gli stessi, ma la Chiesa è andata avanti, e sono cadute alcune barriere che ci permettono di capire che ministero non vuol dire ordinazione.
È significativo che il papa sottolinei che la decisione nasce all’interno della comunione nei cammini sinodali …
Paolo VI, dal ’73 al ’76, creò una commissione di studio sulla situazione della donna nella Chiesa e nella società. Nel ’75 Paolo VI partecipò alla prima conferenza internazionale alle Nazioni Unite dedicata alla donna. Era attento e sensibile alla questione negli anni del femminismo. Una delle conclusioni della commissione di studio fu la possibilità per le conferenze episcopali nazionali di studiare per riconoscere i ministeri non ordinati anche alle donne. La questione era già discussa, ma Paolo VI ritenne non opportuno procedere per il contesto culturale del tempo. Nel recente Sinodo dei giovani con papa Francesco, una delle domande sollevate è sulla mancanza di figure chiare di donne nella Chiesa perché i modelli che si presentano sono sempre maschili. Nel Sinodo per l’Amazzonia si è chiesto in modo esplicito il riconoscimento dei diversi carismi e ministeri ma il Motu proprio di ora nasce da un lungo cammino che parte dal Concilio Vaticano II, dalla Lumen Gentium, da Paolo VI. A livello teologico la questione era già matura al tempo, ma il passo si è compiuto adesso.
Alcuni hanno visto in questa decisione un riconoscimento più formale che sostanziale. Una scelta che non implica una maggiore presenza delle donne “nell’organizzazione e nella decisione”…
Non cambia e cambia allo stesso tempo. Non cambia perché di fatto in chiesa le donne hanno servito l’altare da sempre. Cambia perché il papa chiede alle conferenze episcopali di studiare il modo di introdurre questi ministeri. Il punto è che il ministero è un mandato e un dono. Cambia anche perché per la prima volta le donne ricevono un ministero istituito, questo è il termine, e non ordinato. La Chiesa riconosce che i laici, anche le donne in questo caso, prestano un servizio alla Chiesa e in nome della Chiesa. A livello del riconoscimento dei ministeri è un passo in avanti. Nel Sinodo per l’Amazzonia il papa ha chiesto che si studino altri ministeri perché le donne svolgono tanti servizi e hanno bisogno di una istituzione ecclesiale affinché abbiano maggiore peso, ufficialità, dignità. La richiesta si trovava di fronte ad un blocco, dal 1972, ma ora si è sfondata una porta. Nella pratica non cambia nulla, ma a livello simbolico è un passo in avanti importante.
Il Motu Proprio come si pone in relazione al lavoro svolto dalla Commissione sul diaconato femminile istituita dal papa?
Sono due questioni separate perché nel caso del diaconato femminile il papa ha messo al lavoro una commissione, perché la questione non è chiara. Non si capisce quale ruolo svolgessero le diaconesse nelle prime comunità cristiane. Va studiato, approfondito per capire se per le donne può essere una possibilità, mentre per accolitato e lettorato teologicamente era tutto chiaro, per cui il papa non ha dovuto creare una commissione. Il papa con la sua autorità ha tolto le barriere canoniche che non obbedivano a motivi teologici quanto culturali e di paure. Sono due cose separate. Tutte e due vanno nella linea del riconoscimento delle donne, ma le situazioni sono diverse e quindi anche il modo in cui il papa ha voluto affrontarle è diverso.