Un papa vicino alla gente
Segue Giovanni Paolo II sin dal giorno della sua elezione. Luigi Accattoli, uno dei più autorevoli vaticanisti (lavora al Corriere della Sera), ha scritto alcuni libri ritenuti fondamentali per interpretare questo pontificato. Un papa straordinario comunicatore. Quali le sue innovazioni nel rapporto con i mass media, le persone, le folle? “Improvvisa, dialoga con le folle, accetta di rispondere alle domande dei giornalisti, reagisce a eventi in progress: sono novità spontanee, ma che – prese insieme – spiegano la sua forza di comunicatore. Una comunicazione che è venuta modificandosi e crescendo nel tempo, fino a quella simpatetica e quasi muta della sofferenza. Oggi comunica di meno, ma fa breccia ugualmente, pur offrendosi indifeso all’occhio scrutatore delle telecamere, perché è amato di più. Dà ancora un frutto quell’alleanza con i media realizzata fin dall’inizio del pontificato, che gli ha permesso di modificare l’immagine papale, avvicinandola agli uomini della nostra epoca”. A cosa si deve la sua grande capacità, anche adesso, di entrare in sintonia con i giovani? “Crede ai giovani e i giovani percepiscono questo credito! Ha fiducia in loro, li ama, li vuole sempre incontrare, li ascolta volentieri e i ragazzi avvertono questa sua proiezione verso di loro. Ha inventato le “giornate mondiali della gioventù” e questa non era – nella prima metà degli anni Ottanta – un’invenzione facile: allora gli adulti erano ancora scottati dall’esperienza della contestazione giovanile! Egli dice che le “giornate” non le ha create lui, ma i giovani ed è vero che i ragazzi hanno dato una risposta incoraggiante, ma è stato lui a fare per primo una chiamata coraggiosa. Oggi il suo rapporto con i giovani, che è ancora magnetico, è ricondotto alla nuda verità, perché l’uomo Wojtyla non ha più le risorse della comunicazione inventiva e libera di una volta. Continua a entrare in sintonia con loro perché li prende sul serio, parlando a loro delle cose più importanti: Dio, l’amore, la pace”. Mai un papa è stato così accessibile ai giornalisti. Secondo lei, questo ha contribuito a migliorare l’informazione sul pontefice e sulla chiesa? “Enormemente! Basti pensare a come hanno veicolato la sua rivendicazione dei diritti umani nei confronti di ogni sistema, la sua predicazione della pace, il mea culpa, la difesa di ogni vita, quella nascente e quella del condannato a morte. Ma la crescita del papa ha determinato la diminuzione – nei media – della chiesa. Questa è un’implicazione negativa che non riguarda solo la comunicazione. Anche nei fatti, prima che sui terminali informatici, c’è oggi tanto papa e poca chiesa”. In tema di comunicazione, quali indicazioni offre questo pontificato alle gerarchie ecclesiastiche di ogni latitudine e al laicato cattolico? “Amare l’umanità del proprio tempo e andare a essa con fiducia, accettando i rischi che ogni reale comunicazione comporta. Credere nel ruolo positivo dei media, per esempio, e accettarne le regole essenziali: quella della trasparenza, innanzitutto e quella dell’esposizione alla critica. I media hanno amato Giovanni Paolo e l’hanno oggettivamente aiutato, perché egli ha accettato di interloquire con loro senza filtri. Così dovrebbero fare tutti gli uomini di chiesa”.