Un papa di fronte a Cristo

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Il feeling c’è sempre stato, e non si è mai interrotto anche quando su cose non essenziali ho avuto un parere diverso dal suo; anzi, è cresciuto col tempo. Trentadue anni fa leggevo la sua Introduzione al cristianesimo, e mi piaceva tanto che la regalai anche a un mio alunno; poi ho continuato a seguirlo leggendo molti altri suoi libri; finché dopo la splendida Via Crucis, con Giovanni Paolo II in fin di vita (quanta sporcizia e quanta autosufficienza nella Chiesa), ho sperato che fosse lui il nuovo papa, e ho considerato e considero la sua elezione assolutamente provvidenziale e, per dirlo ancor più chiaramente, voluta da Dio. Benedetto XVI ha come tutti gli uomini i suoi limiti, ma non limitati in lui sono la tensione alla fede e all’amore, innestati con sapiente autoformazione (per dirla con Guardini) in una stoffa umana finemente educata e culturalmente coraggiosa – chi lo legge a fondo se ne accorge -, non per conservatorismo o progressismo, etichette fuorvianti e platealmente insufficienti per ogni seria vita cristiana; ma per fedeltà, una fedeltà da innamorato, a Cristo. Leggo perciò con gioia e gratitudine questo suo pur non compiuto a tu per tu con il Signore di cui è vicario, e lo trovo molto somigliante alle sue bellissime foto infantili di bambino già spirituale a cinque anni, già incamminato sulla via, come dicevano dei primi cristiani. Mi viene in mente, leggendo, la straordinaria risposta di san Thomas More, che parenti e amici volevano indurre all’obbedienza al re Enrico VIII per salvarsi la vita nel momento di una scelta decisiva di fedeltà alla Chiesa: Alla fine è una questione di amore. Proprio così, mentre esegeti e teologi possono accalorarsi troppo per sostenere tesi contrastanti, perdersi nell’argomentare e cavillare, e mentre indifferenti e nemici irridono e credono di frantumare a colpetti di ragion superba, alla fine è una questione di amore, non cieco, ma lui alla guida dell’intelligenza e della cultura. Perché il Vangelo è chiaro: queste cose sono rivelate ai piccoli e nascoste ai dotti e ai sapienti , cioè a coloro che di dottrina e di sapienza si fanno una maschera impenetrabile a loro stessi. Il tentativo, frutto di un lungo cammino interiore, del teologo Ratzinger è di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il Gesù storico in senso vero e proprio, superando i limiti di una recente cristologia che sempre più ha separato il Gesù della storia dal Cristo della fede, e che, partita da alcuni nomi famosi dell’esegesi e della teologia, è approdata come sappiamo a veramente miseri e solo scandalistici esiti in cui non sai se inorridire di più di fronte all’ignoranza o al pregiudizio. Il papa invece vuole presentare, proprio evangelicamente, Gesù a partire dalla sua comunione con il Padre, perché solo se era successo qualcosa di straordinario, se la figura e le parole di Gesù avevano superato radicalmente tutte le speranze e le aspettative dell’epoca, si spiega la sua crocifissione e si spiega la sua efficacia. E qui, come esempio di finezza e insieme di onestà intellettuale dell’autore, vorrei citare un passo lampante: Naturalmente, credere che proprio come uomo egli era Dio e che abbia fatto conoscere questo velatamente nelle parabole e tuttavia in un modo sempre più chiaro, va al di là delle possibilità del metodo storico. Al contrario, se alla luce di questa convinzione di fede si leggono i testi con il metodo storico e con la sua apertura a ciò che è più grande, essi si schiudono, per mostrare una via e una figura che sono degne dì fede. Chi conosce la carriera del teologo Ratzinger fatta di non volute svolte e rinunce, vede nell’approdo di questo libro la mano sapiente che l’ha guidata: impedendogli di elaborare una teologia sistematica oppure speculativa, e sempre più facendo maturare in questa bella intelligenza illuminata dalla crescente fede una formidabile capacità catechetica, la teologia cioè del pastore che sempre più universalmente a Ratzinger è stato chiesto di essere. Ciò che più affascina in questo libro è il filo nitido di interpretazione della vicenda pubblica di Gesù, fino alla Trasfigurazione (un prossimo libro completerà il quadro): il messia di Nazaret è il nuovo Mosè, già preannunciato nel Deuteronomio, profeta e non guerriero, in intimità con Dio ben più grande di quella pur grande dell’antico condottiero. È il Davide definitivo instauratore del Regno di Dio, è, come dice Luca, figlio di Adamo (figlio dell’uomo) e figlio di Dio, vissuto in un’epoca storica precisamente individuata nei suoi uomini di potere romani ed ebrei e inaugurata dalla grande figura-cerniera di Giovanni il Battista, per la cui opera, riconoscendo e confessando i peccati, si apre la via al Redentore che è insieme re e sacerdote (molto importante la sintesi occidentaleorientale della teologia trinitaria del battesimo di Gesù, anticipatore della Croce e della Risurrezione): l’Unto (= Cristo-Messia) per una missione totale: La discesa di Gesù agli inferi di cui parla il Credo non si è compiuta solo nella sua morte e dopo la sua morte, ma fa sempre parte del suo cammino: Egli deve riprendere tutta la storia a partire dai suoi inizi – da Adamo -, percorrerla e soffrirla fino in fondo per poterla trasformare. E perciò non stupisce l’episodio famoso delle tentazioni nel deserto: il vero uomo si rende solidale con i peccatori, e non solo in quel momento ma fino al Getsemani e all’abbandono in croce. Le tentazioni di allora sono quelle di oggi: rimuovere Dio e fare da soli senza illusioni, il che è troppo evidentemente la massima illusione. Poiché la presunzione, che vuole fare di Dio un oggetto e imporgli le nostre condizioni sperimentali da laboratorio, non può trovare Dio. Infatti si basa già sul presupposto che noi neghiamo Dio in quanto Dio, perché ci poniamo al di sopra di lui. Perché mettiamo da parte l’intera dimensione dell’amore, dell’ascolto interiore, e riconosciamo come reale solo ciò che è sperimentabile, che ci è stato posto nelle mani. Chi la pensa in questo modo fa di sé stesso Dio e degrada così facendo non solo Dio, ma il mondo e sé stesso. Gesù sceglie, in contrapposizione a questa logica, non il potere terreno ma quello che presuppone la croce, scandalizzando Pietro e gli altri discepoli; perciò sarà portato in ballottaggio con Barabba, che non era un brigante ma un messia politico in senso stretto, cioè senza croce; e accadde proprio così che i due destini divergessero. Allora, ecco la domanda che attraversa tutto il libro: ma che cosa ha portato nel mondo di concreto il messia-crocifisso Gesù, se non ha portato vittoria e libertà materiale? Ed ecco la grandiosa risposta: Ha portato Dio, quello vero che non dà quieto vivere e benessere ma vera pace e vero bene. Solo la nostra durezza di cuore ci fa ritenere che ciò sia poco. Gesù porta non i vangeli (= le buone notizie) degli imperatori, ma il Vangelo di Dio, cioè un annuncio non solo di salvezza ma che è salvezza: il messaggero è Lui stesso il messaggio, l’annunciatore del Regno è lui stesso il Regno di Dio disceso in mezzo agli uomini; regno che, a differenza di quanto sperato allora e ora, è piccolo, povero, nascosto e segretamente attivo come il lievito, più prezioso e invisibile di ogni cosa visibile. Infatti in Gesù ora Dio è Colui che opera e regna – regna in modo divino, cioè senza potere mondano, regna con l’amore che va sino alla fine, sino alla croce. Il Discorso della montagna, nuova Torah, mostra che in Gesù il rapporto tra padre e Figlio è sempre sullo sfondo del suo messaggio. Sul Sinai della sua preghiera e del suo insegnamento egli porta a compimento, per la folla che lo ascolta, l’antica esperienza di Elia che proprio lì aveva ascoltato Dio non nel terremoto o nel fuoco ma in un dolce e leggero soffio – che altro sono le indescrivibili beatitudini? – che ora invita a scoprire la preziosità delle sofferenze, il fuoco dell’amore crocifisso. Senza un morire, senza il naufragio di ciò che è soltanto nostro, non c’è comunione con Dio, non c’è redenzione. Nelle Beatitudini risplende la nuova immagine del mondo e dell’uomo che Gesù inaugura, il rovesciamento dei valori (…). A partire da Gesù entra gioia nella tribolazione , come san Paolo magnificamente dirà e vivrà, e san Giovanni esprimerà nell’unione di Croce e Gloria, Croce e Risurrezione. Esse sono anche una nascosta biografia interiore di Gesù, che verrà poi fatta propria dai grandi santi, da san Francesco a santa Teresa di Lisieux a santa Teresa di Calcutta; e il teologo dimostra la profonda unità e compenetrazione reciproca delle Beatitudini, che fissano nella fede la nuova giustizia del rapporto con Dio, in sommo grado realizzato da Gesù, e poi dai suoi seguaci perseguitati per causa sua: qui l’annuncio di Lui emerge chiaramente come il centro della storia. D’ora in poi l’ascesa a Dio avviene proprio nella discesa dell’umile servizio, nella discesa dell’amore, che è l’essenza di Dio (…). Dio discende, fino alla morte sulla croce. (…) L’ascesa a Dio avviene nell’accompagnarlo in questa discesa . L’amore è il fuoco che purifica e unisce ragione, volontà, sentimento, che unifica l’uomo in sé stesso in virtù dell’azione unificante di Dio, cosicché egli diviene servitore dell’unificazione di coloro che sono divisi: così l’uomo fa il suo ingresso nella dimora di Dio a può vederlo. Ed è questo appunto che significa essere beato. Quello che oggi, nella stretta soffocante di materialismo e ipersoggettivismo non si vuole spesso accettare è che il cristianesimo sia una gioia che richiede sacrificio, mentre le Beatitudini esigono conversione. La esigono anche da un ebreo osservante come J. Neusner, con il quale Ratzinger colloquia nobilmente e fruttuosamente – e il discorso di non-adesione a Cristo di Neusner è tutto spirituale! -, figuriamoci da edonisti che superficialeggiano sul Vangelo. La cui novità non è questo o quell’insegnamento, ma Cristo stesso che li incarna e si rapporta a Dio come Figlio, cioè come Dio. A questo punto dovrei avere molte altre pagine per recensire con la conveniente completezza questo libro bello, sempre coinvolgente e a volte sconvolgente, innovatore per quanto parlando di Cristo parla con lui; e che mi permetto di raccomandare specialmente ai non credenti (ma quanto fa bene ai credenti a mezz’acqua) i quali vogliano rapportarsi a Gesù di Nazaret con la guida di qualcosa di incomparabilmente più serio delle tante sciocchezze in circolazione. Dovrei parlare a lungo delle sostanziose parti del libro (Gesù di Nazaret, Rizzoli, 448 pagine) che analizzano con una squisita alleanza tra mente e cuore il Padre nostro, le parabole, le grandi immagini del Vangelo di Giovanni, la confessione di Pietro, la Trasfigurazione, 1’autocoscienza di Gesù. Mi limito a dire che il testo è davvero ben leggibile, e con gusto, per ogni persona di cultura media e di buona volontà, che abbia sete spirituale. Ratzinger-Benedetto XVI ha dentro la sua intelligenza di prim’ordine una fede tanto calda e affettiva da non essere né arida né sentimentale (i nostri sentimenti – diceva il gigante san Francesco di Sales – quasi sempre non sono altro che scherzi del nostro amor proprio). Parla e scrive guardandoti negli occhi mentre continua a guardare a Cristo che fra l’altro è il titolo di un suo libro. E questo non è strabismo, ma puro cristianesimo, perché in Cristo centro dell’umanità e della storia vede, come il Maestro stesso ha insegnato, sé e ciascuno di noi.

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