Un paio di scarpe n°42

Durante la Seconda guerra mondiale Duccia incontra Chiara Lubich e il nascente Movimento dei Focolari. Un fatto dirompente che dà un senso nuovo e straordinario alla sua vita. Ilaria Pedrini, anche attraverso le parole di Duccia, ricostruisce questa tappa fondamentale della sua storia  ne “L’altro Novecento” (Città Nuova, 2016)
L'altro novecento_Pedrini_Città Nuova_2016

Casa Calderari si affaccia su piazza Cappuccini, occu­pandone il lato ovest, proprio di fronte alla scalinata fra gli ippocastani che conduce alla chiesa con l’annesso convento dei frati, e fa angolo retto con la facciata delle abitazioni n. 1 e n. 2, quella che ospitò il primo focolare, o meglio la “ca­setta”, come la si chiamava allora.

 

Chiara vi si era sistemata nella tarda estate del 1944, dopo una peregrinazione da sen­za tetto, essendo rimasta sola a Trento quando la famiglia era sfollata verso un posto più sicuro (il paese di Centa San Nicolò), in seguito al bombardamento del 13 maggio.

 

Con Chiara vennero ad abitarvi via via quelle che poi saranno le prime focolarine: Giosi Guella, Natalia Dallapic­cola, Graziella De Luca, le sorelle Ginetta e Gisella Callia­ri… La “casetta” le doveva ospitare provvisoriamente, in attesa della fine della guerra.

 

Fu la circostanza che consentì una “convivenza angelica” di ragazze che avevano scelto Dio come Tutto e che conducevano – in un contesto di terrore e di morte – una vita comunitaria tutta amore, gioia, gene­rosità. E fu contagiosa: se ne aprì presto in via Travai una analoga per i ragazzi. Con il nome “focolare”, la casetta si moltiplicò.L’impressione che produssero in Duccia quelle nuove vicine di casa la raccontò lei stessa riferendo quanto successo in una giornata d’autunno del 1944.

 

Fu in occasione della sirena d’allarme suonata per avver­tirci di un bombardamento che, uscendo di casa per correre nel rifugio, fui impressionata dal comportamento davvero insolito di un gruppetto di ragazze al di là della strada. Esse, anziché fare come tutti noi – e cioè cercare di precipitarsi verso un luo­go sicuro e mettersi in salvo il più presto possibile, ché quando suonava la sirena avevamo già gli aerei sopra le teste –, indu­giavano lungo il tragitto per dare aiuto alle persone in difficol­tà. Ricordo che nel nostro rione c’era una vecchietta da tutti chiamata ironicamente “il treno” perché, anziché camminare, strascicava i piedi che le dolevano. Essa sarebbe certo arrivata al rifugio al suono del cessato allarme se non fossero arrivate loro a prenderla sotto braccio, una da una parte e una dall’al­tra, e non l’avessero trasportata al sicuro quasi di peso. Poi, imbattendosi in una giovane madre con tre bambini piccoli che aveva il suo bel daffare, ecco che un’altra di quelle ragazze prendeva in collo il bimbo più piccolo e dava la mano ad un altro per affrettarne la marcia, e… così di seguito.

 

Io, al di qua della strada, osservavo con interesse e rimane­vo sorpresa, stupita da questa carità, direi eroica, sprezzante del pericolo tanto da rischiare la vita per delle persone sconosciute. Decisi di prendere contatto con loro non appena possibile, tan­to più che avevo notato fra di esse Silvia, la quale mi era stata presentata qualche tempo prima da Gino, suo fratello, che la­vorava nel mio stesso reparto ospedaliero.

[…]

Mi accoglievano sempre con gioia, molto festosamente, an­che se fuori infuriava la guerra. Io ero soprattutto attirata dal fat­to che mi mettevano al corrente di quanto leggevano nel Vangelo.

 

Il Vangelo. Ma io lo conoscevo? Confesso che non lo ave­vo mai letto. Era bensì vero che ogni domenica, in chiesa, il sacerdote ne leggeva un brano, in latino, che poi commentava. Le persone più devote ne avrebbero riportato dei buoni pro­positi che sarebbero durati qualche giorno, ma tutto finiva lì. Queste ragazze invece non si limitavano a leggerlo, il Vangelo. Lo mettevano in pratica, frase per frase, alla lettera, senza an­nacquamenti, senza riduzioni. «Non chi dice Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre mio, questi è mio discepolo», «A chi mi ama mi manifesterò», «Date e vi sarà dato»: il Vangelo era divenuto la loro guida e una luce particolare le orientava. Questa era la novità, era ciò che mi affascinava. […]

 

Dare. Lei, che già aveva “dato” la sua vita per una gran­de causa politica, si trovò di fronte un orizzonte e una misura nuova.

Queste ragazze davano tutto. Come dovevano comportarsi quelli che, come me, erano attratti dal loro modo di vivere, affascinati noi stessi dalle parole del Vangelo? Dovevamo, vo­levamo imitarle, seguirle. […]

 

L’episodio delle scarpe ha un fascino particolare. Quan­do ne parlava, spesso Duccia lo introduceva o lo concludeva così: Dio si è servito di me come strumento per esaudire la preghiera di Chiara «Dammi un paio di scarpe n. 42 per Te».

Eccolo dunque, dalle parole di Duccia, quell’episodio tanto famoso.

 

Un giorno mio zio mi regalò un paio di scarpe; erano quasi nuove: le aveva comperate per sé, ma le aveva messe solo una volta perché troppo strette, inservibili. «Potranno servire ad un povero», mi disse.

Pensai bene di portarle alla casetta, dove i poveri si presen­tavano ogni giorno. Non trovandovi nessuno e avendo fretta le misi sotto il braccio e mi diressi verso l’ospedale. Per stra­da, ecco Chiara che usciva dalla chiesetta del monastero delle clarisse, attigua all’ospedale. «Proprio tu! – le dissi – Avrei un paio di scarpe per uno dei tuoi poveri; sono quasi nuove e portano il numero 42».

«Proprio di queste avevo bisogno», disse Chiara. Nient’al­tro. Io ero completamente ignara del fatto – l’ho saputo anni dopo – che quella mattina un povero con le scarpe tutte logore si era rivolto a lei per averne un paio di nuove.

Ella non viveva in famiglia, ma con le altre ragazze, per cui non poteva avere a disposizione scarpe da uomo. Tuttavia glie­le promette: le avrebbe procurate. Si era recata in quella chie­setta e, inginocchiata davanti al Crocefisso, piena di fede e di fervore così aveva pregato: «Signore, ho bisogno di un paio di scarpe per Te, n. 42». Uscita di chiesa incontra me, che, ignara di tutto, le porgo le scarpe. Dio mi aveva usata come strumento per esaudire la preghiera di Chiara.

 

da "L'altro novecento. Nella testimonianza di Duccia Calderari" di Ilaria Pedrini (Città Nuova, 2016)

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