Un Paese massonico, ma anche cristiano

Intervista a Mario Cayota, uno dei maggiori storici della nazione più laica del Cono Sud, l'Uruguay. L’amore per un popolo e per le sue aspirazioni
Montevideo

È stato ambasciatore dell’Uruguay presso la Santa Sede, il noto storico dell’Università di Montevideo, Mario Cayota, che per un periodo è stato impegnato anche in politica, come uomo del compromesso: dietro la forte pressione di tutti i partiti presenti a Montevideo, è stato eletto consigliere della capitale, ruolo che ha svolto con passione fino al termine del mandato, per poi tornare alle sue amate ricerche. È terziario francescano, il che non guasta in un Paese dove il potere è in massima parte in mano alla massoneria. Il suo ultimo libro – un volume di 700 pagine perfettamente documentato – ha voluto sfatare un pregiudizio che riguardava l’eroe della patria, Artigas, considerato anch’egli un massone: col suo lavoro ha inequivocabilmente dimostrato le grandi influenze che su di lui hanno avuto i francescani, in particolare il suo segretario, che era un frate italiano che di nome faceva Monterosso…

Si può parlare di radici cattoliche dell’Uruguay, il Paese più laicista dell’America Latina?
«Radici fortemente cattoliche! Giusto per fare un esempio, nel 1913 i deputati erano solo 5, ma 4 erano sacerdoti cattolici! Purtroppo la frattura, compiutasi poi definitivamente con la legge di separazione dello Stato dalla Chiesa del 1919, è avvenuta nella metà del XIX secolo, con l’immigrazione che arrivava dall’Italia, quella ondata che portò in questa terra Giuseppe Garibaldi e molti carbonari, e l’influenza del razionalismo e del positivismo francesi: i figli dei ricchi andavano a studiare in Francia, e furono loro che, tornando in patria, introdussero tale pensiero, che immediatamente o quasi si unì al pensiero massonico di Garibaldi e dei carbonari. Certo, all’inizio il laicismo non fu così chiaro: vengono in effetti conservati gli atti di matrimonio in chiesa di Anita e Giuseppe Garibaldi, così come gli atti di battesimo dei suoi figli! Le cose sono andate, però, che il laicismo ha trionfato ovunque nel Paese.

«Ricordo che quando ero ambasciatore a Roma, partecipai a un ricevimento offerto dall’ambasciatore cubano a Roma per la festa della Vergine onorata in quel Paese. Se io avessi proposto un ricevimento per la “Vergine dei 33”, cara a noi uruguayani, penso che mi avrebbero immediatamente richiamato in patria e avrei dovuto rimettere il mio mandato… Artigas aveva princìpi cristiani, è inutile negarlo, sarebbe revisionismo storico negarlo. Nel 1815 firmò ad esempio una riforma agraria redatta dal suo segretario, il frate Monterosso, con questa frase in calce: “Che i più poveri siano i più privilegiati dalla legge”».

Come operano i politici cattolici uruguayani?
«Sono presenti praticamente in tutti i partiti ma non riescono a superare le radici laiche delle loro organizzazioni politiche. Sono persone che credono che la fede è una questione del foro interiore, che non ha riflessi sulla vita pubblica».

Che cosa pensa del processo di riconciliazione nazionale seguito alla caduta della dittatura? È presente la sua memoria nella mente dei giovani?
«Ci sono tante opinioni diverse, inutile negarlo. Ora, però non se ne parla più, anche se non c’è stata vera riconciliazione; non c’è stata in effetti reciproca riconoscenza degli errori commessi. Si sono trovate solo delle soluzioni legali per evitare il peggio. I giovani sono più concentrati sul presente, la riconciliazione non è più un problema vitale. Eppure tornerà a galla, perché non c’è stato mutuo perdono. C’è gente che ha ancora bisogno dello psicologo o del confessore per tacitare la sua coscienza. Quando però ne parlo a fondo coi giovani, mi risulta che la loro sensibilità si risvegli».

L’Europa è lontana?
«Certamente abbiamo fondato il nostro Uruguay guardando all’Europa, con avanzamenti sociali molto significativi. Anche il colpo di Stato che ha portato i militari al potere in realtà è stato fatto senza spargimento di sangue, dai pompieri! Le dittature violente del Centro e Sud America erano molto lontane dalla nostra sensibilità».

Quali sono le qualità e i difetti degli uruguayani?
«Penso che abbiano una chiara tendenza al dialogo e alla tolleranza. E non ostentano la loro ricchezza, sono modesti e risparmiatori: non c’è nessun Paese al mondo con tanti negozi di riparazione, di qualsiasi cosa si tratti, anche dei telefonini. Hanno inoltre una certa semplicità nei rapporti, come viene dimostrato dall’assenza da queste parti degli eccessi commessi nei confronti degli indios in altri Paesi sudamericani. C’è un certo civismo diffuso. Per quanto riguarda i difetti, invece, penso che il primo e più grave sia quello di continuare a confondere laicità con laicismo: la “privatizzazione del religioso” è un male evidente. E tuttavia possiamo anche dire che il fondo religioso dell’uruguayano medio resiste: siamo anticlericali ma per certi comportamenti più cristiani dei fedeli di tanti Paesi cattolicissimi. Ricordo uno zio socialista e anticlericale che sul comodino aveva tre libri: il Don Chisciotte, la Bibbia e La Divina Commedia. Inoltre, non si può nascondere come all’interno di certa massoneria uruguayana più illuminata stia crescendo un certo sentimento di inquietudine e di sensibilità alla fraternità universale».

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