Un Paese in mezzo al guado

Mancano i soldi e gli investimenti produttivi. Spunti per un dibattito a partire dall'intervento del professor Benedetto Gui sul "Decreto Sviluppo 2.0"
Paese

La legge di stabilità varata in Consiglio dei ministri punta a trovare soldi. Se da un lato ha tagliato sull'Irpef e ha diminuito di un punto l'Iva, dall'altra la scure è scesa sui contratti degli statali, bloccati per due anni, sulla sanità, sull'istruzione, sui servizi sociali. Il piatto della bilancia non è certamente in equilibrio. La nuova formulazione dell'Isee, poi, aggrava il carico fiscale sui nuclei con figli e non rende equo il regime tariffario dei servizi secondo Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari.

Più grave la valutazione dell'Ires,
il centro studi della Cgil, che per il triennio 2012-2014 parla addirittura di «scomparsa dei consumi» con una riduzione di spesa delle famiglie degli operai da mille e ottocento euro. La contrazione non riguarda i beni superflui ma quelli essenziali. Mancano i soldi, i redditi sono in calo, le tasse aumentano e si registrano capitali in fuga per 235 miliardi di euro, il 15 per cento del Pil del 2011. Questi sono i dati del Fondo monetario internazionale. «Piove e il motorino è senza benzina. Il motociclista si ferma e sostituisce il tergicristallo ma continua a non sapere se potrà mai arrivare a casa».

Il paragone suggerito dal professor Benedetto Gui, su cittanuova.it, per definire l'incidenza del nuovo decreto sviluppo del governo Monti, è efficace per definire un Paese che resta in mezzo al guado. «Perché ci sia una ripresa del livello dell'attività economica nei prossimi trimestri servono soldi», afferma l'economista dell'Università di Padova. Il professor Gui suggerisce che l'uscita dalla crisi non si avrà mettendo alle strette i Paesi in difficoltà, «ma piuttosto impegnando i troppi disoccupati in grandi progetti di risanamento ambientale o in materia di fonti alternative di energia, finanziati da Bruxelles». E aggiunge che nuovi investimenti potrebbero arrivare «dai capitali privati» dove c'è «tanta capacità di spesa dormiente».

Risponde al professor Gui, l'economista Luigino Bruni, puntando ad una rivalutazione della spesa pubblica, non paragonabile a puro consumismo. «Riguardo l'articolo di Benedetto Gui sul Decreto sviluppo, che sottolinea molte cose essenziali sulle quali sono d'accordissimo, mi vengono due considerazioni a piè di pagina. Non è facile distinguere tra rilanciare la spesa e alimentare la cultura consumistica (che è anche una causa, forse la principale, di questa crisi). Il consumismo è stata anche la malattia che ha prodotto intossicazione da debito privato – Usa – e pubblico – Europa. Quale terapia? Io continuo a credere che la vecchia spesa pubblica (che in quanto pubblica può non essere consumistica) sarebbe ancora buona cosa, soprattutto se europea. In particolare ci sono regioni di Europa e di Italia cadute in trappole di povertà economico-civile dalle quali non usciranno mai, almeno nel medio periodo, con il rilancio della spesa privata.

La grande riduzione della spesa pubblica (spending review) per ora sta generando molta recessione. Inoltre, dovremmo essere più capaci di attrarre spesa estera, mettendo a reddito le grandi risorse culturali, paesaggistiche, relazionali del nostro Bel Paese. Ma dobbiamo far attenzione, in questa stagione di carestia di beni relazionali e beni spirituale, ad incoraggiare la spesa delle famiglie (che tra l'altro si sono molto impoverite)».

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