Un paese che rinasce
La mia prima volta in Africa ha avuto come meta Luanda, la capitale dell’Angola; quella Luanda che, fin da bambina nella mia nativa Recife del Nord-est del Brasile, ho sentito invocare nei canti struggenti di nostalgia della nostra eredità africana. Non sapevo che sarebbe stata proprio Luanda la terra africana che per prima mi avrebbe accolta. Credevo, mentre ero in volo da Lisbona, che avrei provato sentimenti forti, emozioni intense… Invece, ecco una sensazione totalmente diversa: benessere, serenità, impressione profonda di aver fatto un lungo viaggio – non solo geograficamente – e di essere arrivata a casa. Man mano che passavano i giorni e che mi lasciavo penetrare dalla bellezza della natura e della gente, mi rendevo conto che cosa è l’Africa: è la madre, è la madre di molti popoli e, dunque, è la custode della vita. Altrove si trovano altre cose anche importanti, ma qui risplende, trabocca, regna la vita. Parlando a degli amici angolani dicevo: Vorrei veder spuntare quel giorno in cui gli stranieri che vengo- no in Africa, non solo smettano di sentirsi superiori, non solo trattino e scoprano le culture africane, ma con rispetto e deferenza pronuncino la parola madre. L’Angola è un paese bellissimo, dotato di una natura particolare: 1650 chilometri di costa atlantica con acque deliziosamente calde e spiagge bianchissime. Nell’interno fiumi favolosi, in gran parte navigabili, con cascate e rapide, e un altopiano fra i 1000 e i 1600 metri di altitudine che conferisce al paese un clima gradevole. La fauna e la flora sono quelle tipicamente africane con i loro colori, sapori, rumori. E gli angolani sono un popolo di origine bantu, di bell’aspetto, estremamente dignitoso, aperto, ospitale. Anche se poverissimi, si vestono con gusto e mi hanno impressionato le elaborate acconciature dei capelli delle donne, i loro colorati vestiti, ampi, che arrivano sino alle caviglie.Potrebbe essere un paradiso terrestre. La storia invece ha riservato a questo lembo di terra un calvario di sofferenze e di fatiche. Nel periodo antico era parte integrante del Regno del Congo. Nel 1482 i portoghesi approdavano alla foce del fiume Congo ed iniziava il processo di colonizzazione. I vari regni angolani opposero una tenace resistenza all’invasore sino alla metà del secolo XVIII. Poi, un lungo periodo di decadenza con un calo vistoso della popolazione a causa delle guerre e della tratta degli schiavi. La colonizzazione portoghese fu dura, lunga e penetrante. Il processo di decolonizzazione in Africa arrivato al suo apice negli anni Sessanta del secolo passato, non coinvolse allora il Portogallo che continuava a mantenere i propri territori. Nacquero allora i movimenti indipendentisti tra cui il Mpla (Movimento Popolare per la Liberazione dell’Angola) di Agostinho Neto e l’Unita (Unione per l’Indipendenza totale dell’Angola) di Jonas Savimbi. La guerra fu lunga, e fu solo con la fine del governo dittatoriale di Salazar in Portogallo che l’Angola conquistò la sua indipendenza l’11 novembre 1975. Agostinho Neto, figura carismatica, statista e poeta, assunse il potere in nome del Mpla e a questo punto tutte le contraddizioni dei vari movimenti indipendentisti esplosero innescando un sanguinoso conflitto civile che scosse il paese, distrusse le sue strutture e si prolungò sino al 2002 quando la morte di Savimbi pose fine ai combattimenti. Si formò un governo di unità nazionale con il presidente José Eduardo dos Santos (Mpla) e un parlamento unicamerale composto da 220 membri provenienti dai vari partiti. La transizione verso la democrazia era appena iniziata. Si prevedono elezioni generali per il 2006. Il paese esce dal lunghissimo periodo di guerra, praticamente dal periodo coloniale in poi, stremato e distrutto. Le sue ricchezze naturali (petrolio e diamanti soprattutto) fanno gola alle grandi potenze e sono controllate dalle multinazionali. I campi sono coltivabili solo al 30 per cento, perché il resto è ancora tutto minato. Le strade e le ferrovie sono distrutte e l’aereo rimane quasi l’unico mezzo di trasporto. La situazione sanitaria è precaria con la malaria e l’Aids che fanno vittime in abbondanza. Il 48 per cento della popolazione (12 milioni di abitanti) è analfabeta. Da notare ancora che molti dei leader politici angolani di qualunque fede, hanno studiato in seminario. L’aiuto estero è indispensabile, non solo per riprendere il cammino della crescita, ma anche per le necessità di emergenza. Eppure mi ha colpito il clima che si respira a Luanda. C’è aspettativa, c’è speranza. La gente non è fatalista, anzi, si muove e lavora. Non ho visto per le strade gente a chiedere l’elemosina. Ho visto un commercio clandestino attivissimo. Il dibattito politico è vivace – anche troppo se si guarda il numero molto elevato di partiti politici nati -, ma il paese guarda alle prossime elezioni come un traguardo foriero di libertà e sviluppo. Un ruolo di primissimo piano è svolto dalle chiese cristiane. La metà della popolazione professa le religioni africane tradizionali, ma il 38 per cento di cattolici e il 15 per cento di protestanti sono in continuo aumento e giocano una parte di rilievo nei destini della nazione. L’episcopato angolano ha creato il Movimento pro pace, formato da vescovi, sacerdoti, religiosi/e e laici con il compito di formazione culturale e politica alla pace e alla democrazia del popolo e della classe dirigente. Anche l’Università cattolica di Luanda, accanto all’altra università statale, svolge un’azione culturale di grande importanza. Una parola a parte merita l’umanità angolana. Più volte mi sono immersa in questa fiumana di più di un milione di persone che costituisce la popolazione di Luanda. Ho girato nella parte più ricca, preso parte alle funzioni religiose nelle chiese, ho fatto acquisti nei negozi e nei mercati rionali. Ovunque la stessa dignità, serietà, ospitalità. I ragazzi e i giovani che vendono nel grande mercato di artigianato angolano si rivolgono alle donne che vanno a comperare con l’appellativo di madre. È segno di rispetto. Parlando con la gente ho scoperto che sono orgogliosi e fieri della loro patria, coscienti di dover faticare moltissimo per recuperare la loro identità culturale calpestata e saccheggiata, ma guardano il futuro con risolutezza. Non è a caso che fra i prodotti di scultura artigianale il pezzo che loro ritengono più rappresentativo della loro cultura – e che puoi trovare ovunque – mostra un uomo, o una donna, in posizione seduta, i gomiti appoggiati alle ginocchia, le due mani che tengono la testa dai lati: si chiama il pensatore. Luanda – la perla dell’Africa, come viene chiamata qui – sta diventando una città cosmopolita. I prodotti commerciali arrivano soprattutto dal Sudafrica e dal Brasile. Il paese sudamericano, con l’amministrazione del presidente Lula, sta facendo uno sforzo notevole di collaborazione con l’Angola. Ho potuto costatare di persona che i brasiliani sono benvoluti dalla popolazione. Sono molte le imprese brasiliane che svolgono qui le loro attività produttive. Il canale televisivo della Globo arriva bene ed è visto ovunque. Il Portogallo solo dopo la fine della guerra ricomincia ad affacciarsi, offrendo soprattutto collaborazione culturale e politica. Le grandi potenze, dopo essere state sulle sfondo della guerra civile appoggiando e fornendo armi ai movimenti indipendentisti, oggi sono interessate al petrolio (che abbonda nel paese) e ai diamanti, pur essi abbondanti. La sensazione è quella di un paese che rinasce dalle proprie ceneri. Il sogno qui è di un futuro contrassegnato da un flusso turistico. La materia prima (le notevoli bellezze naturali) ci sarebbe. Bisogna vedere se la classe politica attuale avrà la saggezza e la lungimiranza di innescare un processo di vita civile pacifica, un processo di sviluppo economico e produttivo efficiente, un processo politico di natura democratica, rispettoso delle tradizioni africane e allo stesso tempo moderno, all’altezza dei tempi. Tutte cose più facili a dirsi che a farsi. Senza contare che c’è da asciugare e sanare le ferite profonde che ogni guerra civile lascia nei rapporti interpersonali, familiari, sociali, inter-etnici. L’Angola insomma è uno dei paesi più poveri dell’Africa, con immensi problemi di ogni genere, ma è anche un paese che racchiude grandi potenzialità. Forse in futuro ne sentiremo parlare in termini più che lusinghieri. Me lo auguro. COSTRUTTORI DELLA DEMOCRAZIA Un segno positivo della rinascita dell’Angola è risultato il convegno Costruttori della democrazia organizzato da Pro pace. Quattro giorni intensi di relazioni e dibattiti in cui si sono susseguiti sul palco oratori europei e africani – tutti in piena regola culturalmente – a discorrere di democrazia nelle sue varie articolazioni. Il dibattito intenso e appassionato, con domande e interventi, ha ruotato sulle possibilità presenti e future del paese, dando un’idea positiva della situazione. Quanto l’evento fosse tenuto in considerazione dalla santa sede è dimostrato dalla presenza del card. Raffaele Martino di Giustizia e pace che ha svolto una relazione molto ricca sulla dottrina sociale della chiesa. Vera Araújo, sociologa brasiliana e autrice dell’articolo, vi ha partecipato in rappresentanza di Chiara Lubich, fondatrice e presidente del Movimento dei focolari, invitata a chiudere il convegno con un suo intervento. Unità e pluralismo era il titolo della relazione, dove ha cercato di evidenziare l’intimo legame tra queste due realtà all’interno di un contesto di democrazia. E indicava quattro valori fondamentali per riuscirci: l’enucleazione di una cultura del dono, di una cultura del dialogo, di una cultura della comunicazione e di una cultura della fraternità. La relazione è stata accolta con attenzione, interesse, entusiasmo. Una pioggia di domande, di chiarificazioni che non finivano più e il desiderio di alcuni deputati di portarlo a conoscenza dell’intero parlamento. Il giorno seguente, Radio Ecclesia – unica emittente radiofonica che copre tutto il paese – ha trasmesso per intero la relazione che, come ha detto il card. Alexandre do Nascimento, era stata ascoltata e accolta con gradimento dal presidente Eduardo dos Santos.