Un Otello intimo

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Nel sintetizzare la vicenda di Otello, il regista Giancarlo Sepe ha enucleato il dramma intimo di un uomo rigenerato dall’amore, ma ossessionato dal sentimento di inadeguatezza ad essere amato. Un uomo fragile e romantico. Non c’è lo svolgimento cronologico dei moti dell’animo che lo conducono al folle gesto di sopprimere Desdemona; né ambientazione d’epoca; ma una distesa di tappeti e pareti riflettenti, specchio di sé stessi, con porte laterali da dove entrano i fantasmi della sua mente. Il Moro, vestito da ufficiale – gli altri in abiti da sera,mentre Desdemona sfila in passerella coll’abito da sposa – rivive per flash la sua vicenda come un incubo. Tra netti tagli di luci in un’atmosfera quasi notturna, e una colonna sonora di suoni e fascinose melodie anche orientali, l’Otello che abbiamo di fronte è privo di clamore, dell’urlo rabbioso, della vendetta accecante, ma riflessivo, piegato dalla sua stessa passione. Una tragedia che inizia dalla fine e cresce in tensione emotiva grazie all’intensa interpretazione di Andrea Giordana. Ma è Jago il motore di tutto. E Marcello Prayer, nel ruolo del manipolatore dell’animo umano, ha i toni lucidi che scavano le parole e vanno a incidersi come lame nel cuore e nella mente del Moro, e i gesti altrettanto scolpiti. Quello strofinarsi continuamente le dita di una mano dà l’immagine di un cinico calcolatore che tesse la tela del ragno per la trappola e l’affondo finale. Al Teatro Eliseo di Roma fino al 2 marzo. Libri al rogo Una piattaforma di grate metalliche, di rampe da cui si calano pompieri; di piani mobili che fuoriescono dal suolo con biblioteche segrete, schermi a parete, un mastino- robot alla caccia di bibliofili clandestini, carrelli elevatori. E fiammate per bruciare i libri. So- no questi, simbolo di cultura e di pensiero libero, ad essere proibiti in uno Stato totalitario che perseguita coloro che ancora li posseggono perché ritenuti inutili e causa di infelicità. E’ quanto prefigurava Ray Bradbury in Fahrenheit 451 nel 1953, testo reso celebre dal film di Truffaut, ora con la regia di Luca Ronconi su progetto di Elisabetta Pozzi. Pur con un fondo di retorica all’americana, la metafora è quanto mai attuale nella parte dove l’alternativa del potere è offrire programmi televisivi a base di quiz, pettegolezzi e reality show interattivi dove ciascuno può vivere i suoi minuti di celebrità. Ci ricorda qualcosa tutto questo? Da una recitazione inizialmente troppo artefatta ad una più gridata (Alessandro Benvenuti eccede nei toni ronconiani), lo spettacolo trova un equilibrio nella seconda parte. Accanto al pompiere Montag (un efficace Fausto Russo Alesi) provato da problemi di coscienza che ritrova una dimensione umana anche nel parlare, brilla l’interpretazione della Pozzi nel doppio ruolo di una coraggiosa ragazza librofila e soprattutto del vecchio filosofo. Di grande effetto è la trovata di collocare seduta in sala la comunità degli uominilibro, coloro che hanno imparato a memoria le opere letterarie per tramandarle oralmente, che nel finale salgono sul palco. A suggello di uno spettacolo necessario. Al Teatro Argentina di Roma e in tournèe.

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