Un orto urbano

Sperimentarsi nella preparazione del terreno, nella scelta dei semi, nella cura delle piante diventa un rimedio contro la disoccupazione e la scoperta del valore del cibo
Un orto fatto in casa

E va bene, anche questa ci mancava. Costretta dalle strane congiunture del destino a rientrare nel nido di famiglia alla veneranda età di 27 anni, situato per giunta in uno sperduto paesino della campagna veneta – la morte civile, soprattutto dopo tre anni nella capitale – ci mancava, dicevo, solo l'orto. Passi per la mamma che ti chiede se sei vestita a sufficienza anche quando fuori sono 32 gradi, e ti domanda cosa vuoi per pranzo quando ancora stai facendo colazione; ma zappare la terra davvero è eccessivo. Eppure – sentenziano papà e fratello –, se vuoi mangiare verdura, qui così si fa. Ammetto che orti urbani, piantine sul balcone e simili avevano sempre incontrato il mio favore; ma vangare con queste temperature, e con zanzare e tafani dalle dimensioni di elicotteri che ti assalgono, è ben altra cosa.
 
Ad ogni modo, mio fratello mi convince. Armata di guanti – ho appena fatto la manicure, accidenti –, spray efficace anche contro gli insetti tropicali (non si sa mai), cappellino e zappa lo seguo di malavoglia. Si inizia dalle basi: togliere le erbacce, non serve alcuna conoscenza di botanica (però mi ha chiesto di iniziare dai cetrioli: quali mai saranno?). Mi accovaccio e inizio a lavorare. Mi viene in mente un post letto su Facebook: «Il giardinaggio è meglio della terapia (psichiatrica, ndr), e ti dà anche i pomodori». In effetti, strappare le erbacce ha un valore liberatorio: è un po' togliere ciò che non va, fare pulizia anche nella propria vita. A mente sgombra, poi, si può riflettere meglio: forse quella frase, che voleva essere scherzosa, ha la sua ragion d'essere.
Me ne rendo conto ancora di più col passaggio successivo: seminare i fagioli, mio fratello ha già preparato il terreno. Qui c'è una soddisfazione diversa: non si tratta più di “distruggere”, ma di costruire, una volta che tutto è stato “ripulito” e dissodato. Dopo aver posato il seme, mi scopro a ricoprirlo delicatamente con la mano e dare delle pacchette sopra, quasi un gesto di tenerezza. Accidenti, mica ci starò prendendo gusto? Ad ogni modo, per questa sera basta: si riparte domani.
 
Il giorno successivo vengo promossa: oggi il terreno per l'insalata lo posso preparare io. Ma dai, non aspettavo altro: la zappa pesa praticamente la metà di me, grondo di sudore già dopo i primi due colpi. Ieri ho imparato che il cetriolo è un rampicante, oggi che non mi azzarderò mai più a buttare via un singolo boccone della verdura che ho nel piatto, dopo tutta questa fatica. Forse è proprio perché andiamo a prenderla sempre al supermercato, senza alcuno sforzo, che il passo dal frigorifero alla pattumiera è così breve.

Quando finalmente il terreno è pronto, con un bastoncino di lunghezza prestabilita prendiamo le misure per mettere le piantine alla giusta distanza: ecco un'altra cosa che non sapevo, pensavo si seminasse tipo parabola del seminatore. «Meglio di no, conoscendoti, sulla terra buona non finirebbe proprio nulla» commenta sarcastico mio fratello. Sto zitta e continuo. Una volta finito, devo ammettere che la soddisfazione nel vedere le piantine disposte a scacchiera con le mie mani è notevole. Mi sento insolitamente rilassata e in pace, per quanto stanca. Rimane solo da innaffiare, poi possiamo andare.
 
Prendo l'innaffiatoio, sulle piantine così piccole non si può usare la gomma. Per quanto versi acqua, però, questa scorre inesorabilmente in superficie, senza che ne penetri una sola goccia. Se, con tutto il parlare che si fa della siccità, la parola evocava nella mia mente solo infinite distese desertiche, ora capisco davvero che cosa significhi: che anche qui, a casa mia, per quanto ci metta tutta la buona volontà, ormai la situazione è tale per cui questo non basta più. Quest'acqua che scorre diventa l'immagine di un punto di non ritorno che forse è stato superato. È proprio vero, coltivare l'orto è più economico della terapia: e in cambio si hanno non solo i pomodori, ma anche una maggiore coscienza del mondo.

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