Un omaggio a Schubert senza retorica
La Sinfonia n. 8 o Incompiuta eseguita dall' Orchestra Sinfonica di Roma e diretta dal brasiliano Claudio Cohen il 29 e 30 gennaio all'Auditorium della conciliazione
Quante volte si è ascoltata la Sinfonia n. 8 Incompiuta di Franz Schubert, e altrettante volte la trama misteriosa, ambigua di quest’opera – riscoperta solo dopo la morte del compositore nel 1828 ed eseguita nel 1865 – ha suscitato un fascino che genera un miscuglio di sentimenti e di pensieri: malinconia, melodia velata di tristezza, gioia di vivere inappagata, timore della morte, voglia di lottare, timidezza e forza nascosta, dolcezza e verità. Nessuno di questi termini resta da solo e nessuno dice tutto, ma va accompagnato agli altri, perché quello di Schubert è un mondo di candore appassionato così bello e puro da includere molti altri mondi spirituali. Fa solo bene a chi lo ascolta.
Il primo tempo, Allegro moderato, inizia con il tema dei violoncelli come un mormorio dal basso, su cui si innesta la melodia dell’oboe sorretta dal tremolo dei violini. Tutto sarà ripreso, variato, esploderà e piangerà: ma con quale compostezza, con le lacrime dei timidi che son velate di una sensibilità trepidante. Nel secondo movimento, Andante con moto, sono i legni ad introdurre il tema principale. Certo, dall’anima di Schubert sgorga una melodiare fine, cantabile, che parla e dialoga con gli altri strumenti, così che l’orchestra si ingrossa, si assottiglia, diventa filamento e poi chiude fra strappi e silenzi. In Schubert i silenzi sono grande musica.
L’Orchestra Sinfonica di Roma, il 29 e 30 gennaio, diretta dal brasiliano Claudio Cohen ha interpretato il brano con chiarezza, pause lunghe, dolcezze dei legni e della fila dei violoncelli e dei contrabbassi. Nessuna retorica – facile cadere nel sentimentalismo con Schubert, come con Bellini e Chopin –, ma una serietà, una precisione, un dolore anche, che ha fatto amare ancora una volta e scoprire attimi sempre diversi in quest’opera che si chiude come fosse una sera autunnale. Dopo la quale, la Seconda Sinfonia di Bruckner, con la sua wagneriana complessità, era altra cosa.