Un occhio alla Francia
Nanni Moretti è Nanni Moretti. Tagliente, all’umor nero, narciso, intellettualistico. Ai francesi piace moltissimo. Questa volta esce con un film che è pure un musical circense, ovviamente con puntute analisi socio-politiche. Lui è un regista con decenni di matrimonio con la sua produttrice Margherita Buy, che per la prima volta non produce un film del marito ma un poliziesco che va di moda (contestatissimo dal marito invadente in scene divertenti di ciak infiniti). Lui sta girando un film impegnato proprio ambientato nel periodo della invasione russa in Ungheria nel ’56, un evento che mette in crisi il buon pasticcere Silvio Orlando e l’attrice Barbara Bobulova – che contesta liberamente sia il regista che la pavidità dei comunisti italiani di fronte alla Russia. In più, è arrivato a Roma – bella di notte sempre come piace a Moretti – un circo ungherese che si ribella alla invasione russa. Confusione tra il pubblico e il privato: già, perché la moglie è stanca di un marito egocentrico e nevrotico, la figlia giovane vuol sposare un polacco anziano (Jerzy Sthur) e lui si ritrova solo e spiazzato sia nel privato che nel suo film che Netflix rifiuta.
Un lavoro complesso, come si nota, dagli infiniti dettagli, molto parlato (da Moretti), molto cantato con belle canzoni italiane, animato, vivace e ben interpretato. Sfilano le autocitazioni – la piscina di Palombella rossa –, le accuse al cinema attuale violento, l’ironia su Netflix e affini, e in verità una malinconia per il cinema che fu, per la solitudine profonda di chi fa cinema sul serio; ma anche dell’uomo d’oggi, troppo preso da sé stesso, dimenticando cosa sia l’amore, sino al finale inedito. Film autobiografico a ben vedere, sotto la coltre della intelligenza e della ironia.
Siamo in Francia nel film di Cedric Jimenez Novembre. Jean Dujardin è il protagonista di un thriller dove si dà la caccia al killer islamico dell’attacco al Bataclàn parigino del 2015, con l’attentato in cui morirono 97 persone. Il film è bello, scarno, azione pura ma non meccanica, con l’occhio puntato alla necessaria freddezza psicologica richiesta ai poliziotti impegnati nella caccia, tutt’altro che facile. La squadra speciale di questi cacciatori deve fare i conti con sorprese, cambi di scena, le varie anime dell’Islam, gli ostacoli personali e sociali; che la storia racconta senza difficoltà perché il ritmo è preciso, scandito, e non lascia all’emozione se non il minimo spazio indispensabile. Un’occasione da non perdere di un thriller poliziesco una volta tanto non americano e girato con intelligenza, ben scritto, e di una freddezza che fa bene e fa pensare.
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