Un nuovo panorama politico
Raramente delle elezioni nazionali avevano suscitato in Francia e all’estero un tale interesse: il tasso di partecipazione si è attestato attorno al 15 per cento di astensioni e l’iscrizione massiccia di elettori, in particolare tra i giovani e nelle periferie che erano state teatro di violenze alcuni mesi addietro, hanno provocato nel Paese dibattiti, divisioni e riunioni non prive di interesse. Conseguenza prima è stata il cedimento del partito di estrema destra di Jean- Marie Le Pen, sceso a poco più dell’11 per cento, e la nascita di una corrente centrista indipendente, valtabile intorno al 18 per cento, con François Bayrou. Inoltre, anche se i dibattiti tra i candidati sono stati talvolta assai muscolosi, il rispetto delle persone e dei risultati è da sottolineare positivamente: in particolare il rifiuto di Nicolas Sarkozy di vedere i suoi militanti fischiare Ségolène Royal e la dignità della stessa candidata socialista che ha chiesto ai suoi di rispettare i risultati delle urne di fronte a una vittoria incontestabile. Analizzando questi risultati, gli osservatori notano l’apparizione di un nuovo panorama politico e, ovviamente, delle nuove domande per il futuro. Esaminiamo gli elementi positivi che sono sorti da queste elezioni. Ci sono due cose di cui non si parla in famiglia e tra gli amici: di politica e di religione. Questa espressione è diventata quasi un proverbio in Francia, come un residuo storico della legge di separazione della Chiesa e dello Stato o dell’affare Dreyfus. Questa volta si è invece parlato di tutto, senza tabù: chiunque poteva confidare all’altro per chi votava argomentando la propria scelta, perché si è riusciti a sottrarsi al tranello di posizioni troppo partigiane. I giovani in particolare, che tutti dicevano avulsi alla politica, hanno fatto tante domande, hanno chiesto di essere introdotti alla materia. Alcuni addirittura hanno superato il fossato, iscrivendosi a un partito. I vescovi hanno fornito ai cattolici dei testi di riflessioni di grande interesse (Che cosa hai fatto del tuo fratello?) sulle domande fondamentali da porsi, senza ovviamente fare una scelta di campo. Diversi movimenti cristiani hanno poi offerto ai loro membri delle griglie di lettura dei vari programmi proposti, e hanno incoraggiato e promosso dei dialoghi democratici tra i loro aderenti (che spesso ricoprivano l’intero schieramento politico, eccettuate le frange estreme). I media, infine, hanno organizzato dei dibattiti aperti, anche se certi partecipanti non facevano che esaltare apertamente il proprio candidato. Un uomo, François Bayrou, ha rifiutato il dilemma, presente in Francia da 25 anni, della scelta tra uno Stato Ump (la destra di Chirac e poi di Sarkozy) e uno Stato socialista. Questa intuizione ha raccolto un numero sufficiente di voti per animare la campagna presidenziale anche al secondo turno. Questa posizione ha scatenato in seno al partito socialista un orientamento verso la socialdemocrazia, con un’apertura ad un centrosinistra sul modello di quello proposto in Italia da Romano Prodi. Il candidato socialista, non lo si è dimenticato, cinque anni fa era stato eliminato a causa delle liti interne al partito. Ségolène Royal ha saputo ridare smalto al suo partito, fortemente sbiadito dalle liti tra gli elefanti del partito e dalla divisione all’epoca del referendum sull’Europa. Lo si ricorderà: a causa del rifiuto di uno dei suoi membri più in vista, Laurent Fabius, il partito socialista assunse in gran parte la responsabilità del no della Francia alla costituzione europea. Nello stesso tempo i candidati della sinistra comunista, dei verdi e dell’estrema sinistra sono caduti al di sotto del 5 per cento dei suffragi. I francesi hanno dunque dato la preferenza a un candidato liberale dal discorso vigoroso e dalle promesse molteplici. La campagna è stata franco-francese: alla questione europea è stata messa la sordina e i problemi internazionali sono stati visti quasi esclusivamente sotto la lente dell’immigrazione e delle sue minacce. Ora Nicolas Sarkozy deve passare all’azione. La forte partecipazione e le promesse fatte ad un elettorato disperso (dal Fronte Nazionale alle persone semplici, passando per i pensionati e per i giovani), tutti affascinati da un uomo dinamico e ambizioso, non gli renderanno il compito facile. Le domande – e per alcuni le inquietudini – non sono poche. In occasione del suo primo discorso da eletto,Nicolas Sarkozy ha insistito sulle questioni internazionali e ha mostrato la sua volontà di apertura. Si è dichiarato europeo convinto (ha sempre detto sì alle consultazioni europee), ma tale discorso è orientato verso una visione francese dell’Europa.Ha affermato il suo desiderio di stringere una buona intesa con gli Stati Uniti senza rinunciare al diritto di critica sulla mancata firma statunitense al protocollo di Kyoto. Ma non ha detto nulla sulla guerra in Iraq per la quale qualche mese fa si era dichiarato dispiaciuto per il mancato sostegno della Francia al presidente Bush, quando la grande maggioranza dei francesi aveva seguito Chirac nel rifiuto di quella guerra. Si comprende allora meglio l’entusiasmo di Gorge Bush, Tony Blair e Silvio Berlusconi per il candidato Sarkozy. In campo economico e sociale, le associazioni per gli emarginati, gli immigrati clandestini e i sindacati conservano la loro inquietudine davanti alle opzioni estremamente liberali dell’eletto: i disoccupati sono tutti dei fannulloni o degli scrocconi? Gli illegali sono tutti dei possibili terroristi? Le leggi sociali e il maggio 1968 sono veramente i responsabili delle difficoltà della economia francese? E la liberalizzazione della gestione delle ore di straordinario spingerà effettivamente gli industriali ad assumere più gente? Ecco alcune domande alle quali il nuovo presidente dovrà rispondere, e rispondere velocemente. E ancora, questa volta sul piano giuridico, la repressione è l’unica soluzione per combattere il malessere delle periferie, dove i giovani non hanno nessuna speranza di avvenire? Ma per il momento l’uomo-Sarkozy è ancora solo: anche se la sua idea della funzione che occuperà si orienta ad un rafforzamento del potere presidenziale, tra poco le elezioni legislative daranno al nuovo presidente una dose più o meno elevata di possibilità reale di manovra. Se in effetti le prossime politiche confermeranno una maggioranza massiccia al partito del presidente, ci si chiede quale sarà la reazione della gente della strada visto che una politica puramente liberale rischia di aumentare la precarietà. Altra domanda: in che modo François Bayrou confermerà la sua quota elettorale e cercherà di creare un nuovo partito centrista, proprio mentre la maggioranza degli eletti del suo partito ha raggiunto il campo del nuovo presidente? Ancora: il partito socialista riuscirà a trasformarsi e a diventare una socialdemocrazia credibile e moderna, una vera opposizione democratica, perché – è vero – Ségolène Royal ha creato intorno a lei un vero entusiasmo popolare? Infine bisogna anche notare che Nicolas Sarkozy ha saputo circondarsi di persone competenti, giovani e dinamiche, di origini varie, e si è potuto appoggiare sull’unità di un partito che ha in grande parte rinvigorito. Insomma, i giochi non sono ancora completamente fatti.