Un nuovo modello di convivenza

Si conclude la Settimana mondo unito che ha visto la realizzazione di tante iniziative in diversi Paesi del mondo. L’Ecuador ha ospitato quest’anno la manifestazione centrale. In chiusura un Festival per la pace, con testimonianze di fraternità in atto
Smu

Oggi è il grande giorno! Alle 5 tutti in piedi. Anche se si è dormito poco, c’è un clima e un entusiasmo tangibile! Dopo le avventure dei giorni scorsi, oggi c’è da prepararsi al “Festival por la Paz” (Festival per la Pace). Si sono prenotati in 1.200: bambini, giovani, adulti e anziani accorsi per testimoniare che l’unità del mondo non è un’utopia. Anche il luogo scelto per l’evento è simbolico: la “Mitad del Mundo” (la metà del mondo), cioè il luogo nel quale tutte le tradizioni si incontrano per generare una cultura della fraternità.

Il Festival conclude la Settimana Mondo Unito, expo internazionale di azioni fraterne promosso dal Movimento dei Focolari. Da nord a sud, da est ad ovest, in ogni angolo della Terra migliaia di persone testimoniano la voglia di impegnarsi in prima persona per rendere il mondo più unito…

 

All’entrata, chiediamo a molti dei presenti il motivo della propria partecipazione: nella maggior parte delle risposte risuona forte la vocazione comunitaria dell’America del Sud. In tanti, infatti, ci dicono di voler testimoniare che la pace è l’unica via per un realizzare un mondo unito!

Si inizia con canti e balli. Strumenti tradizionali e moderni si uniscono per dar vita ad una festa. Sul palco, si susseguono giovani dell’Africa, dell’Asia, dell’Europa, delle Americhe… Insomma, oggi tutto il mondo è presente a Quito!

«Anche nella distruzione delle scorse settimane – ci dice Juan Carlos – abbiamo visto generarsi una catena di generosità e solidarietà. Migliaia di persone hanno dato la vita gli uni per gli altri». Sul palco si susseguono tante esperienze concrete.

 

Jesús, ad esempio, racconta la sua reazione immediata: «Quando abbiamo visto le prime immagini, ci siamo resi conto della gravità dei danni. Con alcuni amici abbiamo deciso di organizzare una raccolta di beni di prima necessità. Abbiamo lavorato dalla mattina fino a notte fonda, ma lo abbiamo fatto per amore dei nostri fratelli e sorelle». Continua Natalia: «Appena abbiamo potuto, ci siamo diretti nei luoghi devastati dal terremoto. Non potevo non rispondere a questo grido di dolore. All’inizio non era chiaro come poter essere di aiuto. Ho capito, però, che la cosa più importante era amare con tutte le mie forze, ascoltando e facendo silenzio nella mia anima per accogliere chiunque incontravo». David racconta che «ho visto mani disinteressate che non hanno tardato un solo secondo a donare grandi quantità di cibo, acqua, medicine, denaro; e mani che, anche se non avevano niente da dare, si sono messe a disposizione per aiutare il più possibile. Ho assistito ad un Ecuador frantumato dalla disperazione, la paura, la fame e la sete; ma ho anche visto i volti di gioia, la soddisfazione e la speranza di ricevere un aiuto disinteressato. Ho avuto la gioia di lavorare a fianco di persone che si sono lasciate tutto alle spalle, mettendo da parte il proprio lavoro, gli studi e anche le proprie famiglie per aiutare coloro che avevano perso tutto. Ho potuto guardare da vicino la bontà degli ecuadoriani e quella di tutta l'umanità».

 

Momenti artistici meravigliosi rendono la festa ancora più gradevole e preparano ad accogliere meglio le tante testimonianze che vengono condivise durante la mattinata.

Ascoltiamo con grande entusiasmo l’esperienza di Melany: «Quando ho iniziato a cantare nel coro universitario, ho capito che per guadagnare un posto nel gruppo i miei compagni non esitavano ad offendere ed insultare. Quello non era il mio stile di vita! Per questo, spesso, mi prendevano in giro. Ma non potevo restare ferma a guardare. Tanti soffrivano per quella situazione… Un giorno ho deciso di condividere con gli altri le canzoni che avevo scritto. È stato il primo passo per trasformare il dolore in amore. Da allora, tutto è cambiato. I miei compagni hanno cominciato a guardarmi in modo diverso, a smettere di insultarmi. Poi, anche altri hanno cominciato a condividere ciò che avevano fatto: talenti nascosti che, finalmente, potevano mostrarsi senza timore! Il rapporto tra tutti è migliorato moltissimo; anche chi arrivava da fuori si sentiva accolto come in una famiglia. L’8 maggio dello scorso anno, poi, abbiamo organizzato un concerto di musica latino americana con un unico obiettivo: trasmettere, attraverso la musica, la cultura della fraternità universale».

 

Sul palco è il turno di Giorgio e Lara, giovani libanesi che, seppur in mezzo ad una delle più sanguinose guerre della storia, trovano la forza per amare tutti: «La guerra in Siria ha causato più di 6,5 milioni di rifugiati nello stesso Paese e 3 milioni sono fuggiti dalla propria terra per andare verso i Paesi vicini. Nonostante ciò, centinaia di manifestazioni sono state organizzate in tutto il Medio Oriente per raccogliere fondi e beni di ogni genere e testimoniare insieme, cristiani e musulmani, che l'unità è possibile e che le barriere politiche non possono spegnere le aspirazioni degli uomini per vivere in pace tra loro. Concerti, feste, veglie di preghiera hanno trasformato la paura in speranza, l’odio in perdono, la vendetta in pace. Tante famiglie, pur se con poche risorse economiche, sono state disposte ad accettare i rifugiati iracheni. In Siria, molti ci hanno detto che “l'amore vince tutto, anche quando sembra impossibile”. Uno dei nostri amici, ad esempio, è stato arrestato e lasciato al buio della prigione. Nonostante tutto, ha deciso di mettere da parte il suo dolore per offrire, agli altri prigionieri, il sorriso, l’ascolto ed il poco cibo che aveva. Di fronte al suo atteggiamento sorprendente, anche gli altri prigionieri hanno iniziato ad amarsi reciprocamente, aiutandosi concretamente».

 

Il Festival, però, non è solo una carrellata di esperienze già fatte. David e Catalina, ad esempio, presentano le “Scuole di Pace”, iniziativa promossa in collaborazione con l’Istituto Universitario Sophia: «L’obiettivo è quello di creare spazi di formazione teorica e pratica per approfondire la relazioni con se stessi, con gli altri, con il creato, con gli oggetti e con la trascendenza. La fraternità universale può creare una politica al servizio dell'uomo; un'economia basata sulla circolazione delle merci e sulla comunione; un'ecologia in equilibrio considerando la Terra come la casa di ciascuno». Una iniziativa aperta a tutti e che partirà già nei prossimi mesi. Insomma, una realizzazione concreta dello United World Project. Johanna, una delle presentatrici dell’evento, ci spiega che «qualche anno fa abbiamo lanciato questo progetto il cui scopo è promuovere e raccogliere testimonianze di azioni fraterne; siamo sicuri, infatti, che essa può diventare un nuovo modello per la politica, l’economia, il lavoro, lo sport e tutti i campi dell’agire sociale».

 

È il festival dell’inculturazione ed esso si conclude con Samiy, giovane indigeno della comunità Kitu Kara: «Noi tutti abbiamo vissuto una settimana nella quale abbiamo sperimentato che è possibile portare la fraternità, l'unità, la solidarietà e la pace nella nostra vita, nel nostro ambiente ed in tutto il nostro pianeta. L'umanità è viva; il nostro impegno è personale, ma possiamo farcela solo se ci sentiamo parte di una comunità. Noi tutti siamo consapevoli che non è facile, ma sappiamo che l'unità e la pace sono realtà sempre più presenti nella società umana. Oggi abbiamo assistito alla bellezza della diversità e alla ricchezza delle culture».

La gioia, ormai, è incontenibile. E così, durante le canzoni conclusive, ci si trova a ballare tutti nell’arena! Giovani e adulti, bambini e ragazzi. Tutti insieme, senza barriere. Tutti a far festa e gioire. Ma non è gioia effimera, è consapevolezza che siamo in tanti, un popolo che vuole fare dell’Amore la propria bandiera.

 

Camminando fra i giovani che stanno tornando a casa, si sentono commenti entusiasti. Insomma, prendendo in prestito le parole di Lidia e Walter, Delegati del Movimento dei Focolari per l’Ecuador, Perù e Bolivia, possiamo dire che «questa non è una conclusione. Questo è solo l’inizio!».

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