Un nido sotto il ponte
Avevo visto i cadaveri ripuliti da Edhi Abdul Sattar, avevo percorso i viali dell’abiezione e della follia di Karachi, avevo conosciuto la povertà delle periferie polverose del nord della città che nessuno sa contare. Ma quanto ho visto sotto il ponte di Baloch Goth, o lungo la corrispondente ferrovia, è qualcosa di impensabile in una città grande e civile. È indù la gente che ho visto, residui del grande esodo susseguente alla creazione del Pakistan, nel 1947: gli indù avevano in mano il commercio a Rawalpindi, a Lahore, a Faisalabad. Dovettero fare armi e bagagli, e lasciare ai musulmani (odiati da tanti solo negli ultimi anni, sotto le spinte etniche e politiche, più che religiose) le loro belle case nei viali importanti della città, decorati con balconi lignei di alta fattura. Ma anche tra gli indù c’erano i poveri tra i più poveri, che non potevano mettere insieme nemmeno i soldi necessari per scappare a bordo di un autobus o di un camion. Si nascosero sotto i ponti e rimasero a Karachi. E sotto i ponti ci sono rimasti, nel centro geografico della città. È con questa gente che circa vent’anni fa la moglie del console italiano, Chantal Tornetta, volle impegnarsi per colmare una forte esigenza di giustizia e di carità che l’animava. Decise così di aiutare un sacerdote cattolico dell’attiguo seminario maggiore, già al lavoro con un gruppo di indù che vivevano sotto i ponti, e nacque così un progetto di promozione dell’attiguo seminario maggiore, realizzò un progetto di promozione umana per i bambini che vivevano in quelle tende, macilenti, preda di ogni malattia del corpo e dell’anima, oltre che di ogni delinquenza. Trovò i fondi, seguì l’iniziativa impegnandosi in prima persona. Finché dovette seguire il marito lontano da Karachi, e i problemi sul posto cominciarono ad accentuarsi. Fu il provvidenziale intervento di una Ong italiana (la Naaa) a far sì che il progetto non naufragasse. Si prese a carico tutto, la parte finanziaria e l’organizzazione e ne affidò la gestione in loco a Marines Cardoso. C’erano i topi nel cassetti – mi dice la giovane donna brasiliana -, e il piccolo dispensario era stato chiuso. Nessuno si occupava più di nulla, tranne una maestra che continuava a dare qualche lezione ai bambini. Fu lei che ci introdusse nella conoscenza di quelle famiglie. E per mesi e mesi l’unica cosa che facevamo io e Nabila, pakistana, era quella di andare a visitare queste famiglie a casa loro. Casa, si fa per dire…. La gente sotto il ponte e quella lungo i binari della ferrovia mette assieme il pane (quasi) quotidiano vendendo fiori ai semafori, giusto il necessario per sopravvivere senza grandi speranze di emanciparsi, tanto più che la costruzione di un nuovo viadotto sul canale e la protesta di alcuni condomini al di sopra della ferrovia hanno ridotto drasticamente lo spazio delle abitazioni di questo gruppo indù. L’unica speranza – riprende Marines Cardoso, nel suo ufficio pulitissimo anche se estremamente modesto, al centro sociale avviato lì accanto – sta nei bambini, nella loro formazione umana e nella loro educazione scolastica. Se i figli delle 300 famiglie che seguiamo riuscissero a ricevere una educazione adeguata, ecco che nel tempo sarebbero capaci di risollevare le sorti della loro comunità. Ma debbono essere numerosi, perché chi potrebbe si rifiuta di abbandonare i suoi per sistemarsi in un appartamento decente. Il centro animato dalla dinamicissima giovane donna brasiliana svolge ormai attività assai diversificata. C’è innanzitutto il dispensario medico, che fa da tramite con le istituzioni sanitarie. Ogni giorno c’è la fila, tra 40 e 50 persone, soprattutto donne e bambini, perché purtroppo gli uomini si presentano solo quando il loro caso è grave, se non addirittura irrimediabile. C’è poi la scuola, che per il momento coinvolge una settantina di bambini e bambine dai 3 ai 16 anni. Per le ragazze più grandi è stato avviato poi un corso per parrucchiere e di trucco. Naturalmente al Nest, il nido, come si chiama il centro, non mancano le distribuzioni di cibo ai genitori ma anche ai bambini, viene pure distribuito del vestiario, vengono organizzate gite e visite culturali – impressionante il silenzio dei bambini, solitamente assai vivaci, nelle visite al museo nazionale -, sport, incontri coi genitori… Si notano miglioramenti – aggiunge Marines Cardoso – nei bambini che sono ormai giunti alla sesta classe, anche se il lavoro è lunghissimo. Recentemente i genitori naturali di una bambina ci hanno chiesto di portarla all’orfanotrofio delle suore di Madre Teresa di Calcutta per una grave malnutrizione e per la loro incapacità dei suoi genitori naturali di badare alla piccola. Ora si sta riprendendo. Spina dorsale del centro è la presenza costante della onlus Naaa che sostiene il progetto sia economicamente, sia attraverso delle adozioni a distanza – una ventina quelle accese – che servono a sostenere la scuola, sia con incoraggianti visite periodiche. Si può così provvedere ad offrire alle famiglie dei tendoni di plastica durante la stagione dei monsoni, e aiutarle a combattere contro i mali peggiori che minano la loro integrità: droga a buon mercato, alcol dozzinale e pericolosissimo, delinquenza spicciola per guadagnare facilmente qualcosa. Per questo – continua Marines – stiamo avviando attività per i più grandi, un avviamento professionale che possa distoglierli dalla cattiva strada. E se qualcuno ha bisogno di qualcosa, ce lo chiede, e noi sempre cerchiamo di trovare il necessario. Sempre, tuttavia, insieme a loro, coinvolgendoli, perché è necessario che si responsabilizzino e siano considerati normali cittadini, come tutti. Cerchiamo comunque di non dar loro soldi, ma servizi e materiali, perché non si sa mai come vadano a finire i contanti. Si sta cercando, insomma, di dar a queste trecento famiglie una certa dignità, cercando ad esempio di evitare che i bambini facciano l’elemosina ai semafori, cosa che li rende facili preda di modelli di vita delinquenziale, o se va bene parassitaria. Come ci riuscite? Semplicemente – continua Marines – mettendoli in condizione di denunciarsi a vicenda: ti ho visto mendicare, lo sai che non va bene… E si va avanti. Negli anni scorsi avevamo sempre procurato le cartelle per i bambini, all’inizio dell’anno scolastico. Quest’anno, invece, i bambini sono giunti a scuola tutti o quasi con le loro cartelline nuove – povere ma belline -, che i genitori avevano comprato loro. È la strada dei piccoli passi, delle piccole attenzioni che diventano piccoli progressi umani, in un costante tentativo di offrire loro un calore familiare. Questo è quanto accade al Nest. N.A.A.A. Il Nucleo Assistenza Adozione e Affido – Onlus è un’associazione fondata da genitori adottivi. Il loro intento è quello di offrire un aiuto sincero, corretto e disinteressato, alle famiglie italiane impegnate in pratiche e progetti di adozione internazionale. Il metodo di lavoro utilizzato consiste in un intervento puntuale e sistematico, di informazione e formazione personalizzato alla famiglia adottiva, che permette di seguire tutto l’iter della procedura d’adozione, con interventi svolti da parte di personale qualificato che peraltro ha vissuto personalmente una o più esperienze d’adozione internazionale con risultati validi e positivi. Alle famiglie aderenti, il N.A.A.A. garantisce dunque il massimo impegno, tenuto conto che la sua attività, oltre che essere volta a superare i problemi derivanti dall’iter dell’adozione internazionale è soprattutto improntata ad interventi di sussidiarietà e solidarietà. Ciò detto, è d’uopo ribadire che lo scopo dell’associazione è di dare una famiglia ad un bambino che ne è privo, scoraggiando ogni tipo di scelta basata su parametri come la provenienza, l’etnia, i costi procedurali. Per informazioni, www.naaa.it