Un natale globale

Lo ammetto: il Natale non lo reggo più. Intendo ovviamente il mercimonio generalizzato che, perfino in una depressione economica come quella in corso, riesce quasi sempre a fagocitare tutto ciò che di spirituale questa festa incarna e rappresenta. E la musica non fa certo eccezione. Coi suoi concertoni gospel, suggestivi ma tutti uguali, con le tonnellate di christmas- song omogenizzate che sbrodolano nei supermercati, con le vetrine discografiche intasate di compilation pretestuose epperò perfette per un regalo in zona cesarini. Okay. La malattia è antica e la conosciamo tutti: inutile sperare in chissà quali inversioni di tendenza. Epperò, perfino in questo gran guazzabuglio, è possibile talvolta imbattersi in qualcosa di diverso, e perciò di balsamico. Uno di quei dischetti poco strombazzati, ma preziosi, emozionanti, e soprattutto coraggiosamente estranei ai cliché imperanti. Già il titolo, Think Global-World Christmas dice molto. In un mondo globalizzato e nel contempo barricato in infiniti diversi localismi, il Natale viene ovviamente vissuto – e cantato, e suonato… – in mille modi diversi. I quattordici brani di questa deliziosa e anomala compilation ce ne offrono un bel campionario. Fin da subito salta all’occhio e alle orecchie la scelta d’uscire dall’egoccidentalismo e dai cliché che da sempre segnano quest’ambito. Perché qui non solo trovano spazio anche l’Africa, i Caraibi e i Balcani, ma anche quando si attinge dai repertori tradizionali le scelte sono assai originali. A rappresentare l’Italia, per esempio, c’è un ensemble friulano, i Baraban, che anziché le solite Adeste fideles o Tu scendi dalle stelle offrono la misconosciuta ma splendida Puer natus, gioiellino del folk medioevale cantato in latino; così come può accadere che un classico della tradizione anglosassone come Santa Claus is comin’ to town qui s’affidi alla vocalità e al chitarrismo sbilenco di un maestro del blues caraibico come Joseph Spence. E proseguiamo citando le mirabili armonie vocali dei francesi Bout du Monde, i minimalismi suadenti degli svedesi Triakel, le ritmiche colorate degli Africa Guitar Summit, band composta da musicisti provenienti da Madagascar, Ghana, Kenya e Burundi. Sono canzoni ed atmosfere che davvero allargano il cuore e che ancora una volta ribadiscono le sempiterne valenze della musica come strumento di fratellanza universale: dove le diversità non sono barriere, ma arricchimenti; dove ciascun tassello contribuisce in ugual misura allo splendore di un mosaico capace di stemperare, per un’ora almeno, le convulsioni e dalle frenesie di questi giorni: restituendo al Natale il suo senso più profondo ed autentico. Ovvero, l’unico plausibile. agles Long road out to Eden (Universal) I pontefici massimi del country-rock (e pop) tornano dopo tredici anni d’assenza con un doppio album nuovo di zecca. Venti canzoni che arriveranno come ambrosia nelle orecchie dei nostalgici, ma che suoneranno vistosamente datate per i giovanotti d’oggi. La classe è comunque ancora quella dei giorni belli. James alive All the lost souls (Cgd-Warner) Il giovanotto sarà pure un pelo sopravvalutato, ma sa il fatto suo. Il suo pop-soul all’anglosassone non ha l’imprinting di ciò che resiste all’usura del Tempo, ma è ben confezionato, gradevolmente radiofonico, e privo di controindicazioni.

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