Un museo da ascoltare
E' iniziato l'Avvento. Una fiaba al giorno, per grandi e piccoli, ci accompagnerà sul sito di Città Nuova. Perché anche tornare bambini è prepararsi al Natale.
Chi ha detto che in un museo ci si può annoiare? Sentite un po’ cosa è capitato nel bellissimo ma poco conosciuto museo romano degli strumenti musicali, dove si ammirano pezzi eccezionali d’ogni foggia, epoca e cultura. Roba da non crederci, direte!… Tutto cominciò una notte, nella sala VII, quando un corno basso a testa di drago uscì dal suo letargo secolare e, sciogliendo pigramente le sue spire d’ottone, decise che era ora di muoversi, di scoprire il mondo attorno: ne aveva abbastanza di corni, trombe e tamburi, suoi abituali compagni nella musica militaresca.
Strisciando dunque in mezzo alle vetrine, sfiorò chitarre, mandolini, un seicentesco clavicembalo da viaggio e qualche organo dorato che, fingendo di non accorgersi di quell’intruso, continuò a conservare un polveroso silenzio. Solo l’arpa eolia, le cui corde vibrano per il soffio del vento, rabbrividì al vedere quel mostriciattolo: eppure non c’erano spifferi in quella sala dalle finestre ben serrate.
Il corno-drago passò oltre e perlustrò la sala della “musica in scatola”, dove erano in mostra carillon d’ogni tipo e dimensione (alcuni erano perfino ciondoli, puntaspilli, tabacchiere e simili). «Peuh! – tossì col suo vocione grave – roba da femminucce! Mica è musica questa…». «Mica è musica questa» ripetettero beffarde due scimmiette musicanti dal loro carillon; e presero a seguirlo nella sua passeggiata con risatine e mossette indisponenti.
«Alto là, tornatevene al vostro posto!» ringhiò il fiero strumento. «Alto là, tornatene tu al tuo posto» gli fecero eco quelle. «Ah, è così? Peggio per voi… A me, amici, diamo una lezione a queste smorfiose!».
Un coro di “fiati” seguì le ultime note del corno-drago: stavano accorrendo oboi e corni da caccia, che da tempo sospiravano una battuta alla selvaggina per togliersi la ruggine di dosso. E le scimmiette facevano proprio al caso loro.
Un emozionante inseguimento cominciò allora per tutte le sale, che man mano si risvegliavano tra un incrociarsi di suoni bizzarri e più o meno intonati. «Che c’è, chi è?» si chiesero l’un l’altro i sette cornamuti torti, opera di un celebre artigiano bavarese. «È scoppiata la guerra!» rullarono i tamburi, smaniosi di menar le bacchette. «Misericordia!» esclamarono i flauti dolci, i clarinetti e le viole d’amore, che erano decisamente per la non violenza. «Evviva, comincia la festa di Piedigrotta!» giubilarono dal canto loro mandolini, scetavajasse e triccheballacche, sempre nostalgici di Napoli. «Piano, piano, per carità!» gemette il preziosissimo pianoforte Cristofori, costruito nel 1722 dal suo stesso inventore: sulla tastiera infatti erano saltate, fuggendo, le terribili scimmiette.
«Sì!… No!… Cosa?». La confusione era ormai tale che più nessuno ci capiva niente: e come avrebbe potuto, del resto, con tutti quegli idiomi? Dai la-pa, trombe diritte tibetane, ai sarangi indiani, le cui corde vibrano per simpatia, ai charangos, chitarrini sudamericani; dai darabukke o tamburi arabi alle gusla, strumenti ad arco dei Balcani, ai nanga o arpette congolesi…
Ad un tratto uno squillo imperioso fece zittire tutti: era la tromba quattrocentesca, simile alle chiarine del palio di Siena, che annunciava qualcuno. «La regina!» tintinnarono cembali, sistri e campanelli; crepitarono nacchere, raganelle e tamburelli. «La regina!» tremolarono mandolini, arpette e cetre; ansimarono organi, harmonium e zampogne. «Eccola, s’avanza!» flautarono i flauti, sviolinarono i violini e tossicchiò con deferenza il corno-drago, da bravo militare sempre sensibile all’autorità.
Era proprio lei, l’Arpa Barberini, che fulgente d’oro si degnava di comparire col suo seguito: due aristocratiche arpe dell’epoca di Maria Antonietta. «Mamma mia, è proprio arrabbiata!» bisbigliò un violino tascabile appartenuto ad un imparruecato maestro di musica; e si guardò intorno cercando un astuccio dove nascondersi.
«Chi ha portato lo scompiglio nel mio regno di Armonia? Sia punito sull’istante!» sbottò la sovrana, la cui triplice fila di corde vibrava ancora per lo sdegno. «Maestà, sarà fatto» asserì il ciambellano, alias un cembalo verticale italiano della seconda metà del Seicento dal coperchio dipinto a graziosi motivi floreali. «E subito – si sentì rispondere severamente – se non vuoi essere sostituito subito con l’unico altro esemplare della tua specie: quello, per intenderci, esistente a Vienna!».
Nessuno degli strumenti fiatava, tantomeno i “fiati”; lo stesso corno-drago credette opportuno non farsi avanti, data la sua fama di collerico e battagliero. E intanto si chiedeva mordendosi la lingua: «Dove saranno andate a ficcarsi quelle dannate?». Nel trambusto, infatti, le scimmiette si erano dileguate, nascondendosi chissà dove: magari nei silvadores peruviani o in qualche panciuto chitarrone.
Paventando la minacciata sostituzione, il ciambellano si affannava per dipanare la matassa, ma un testimone contraddiceva l’altro: «È colpa del corno basso». «Macché, è delle scimmiette musicanti». «È colpa dell’uno e delle altre». «Mettiamoci d’accordo!» implorò il cambalo. «Yes, accordiamoci» esclamarono all’unisono due cistri inglesi, che da tempo immemorabile non provavano la mano di un accordatore.
Il corno fittile, che data l’età la sapeva lunga, si azzardò a dire la sua, ma chi lo capiva, etrusco o falisco qual era? Tanto più che un ultimo sforzo per spiegarsi lo lasciò definitivamente incrinato. Vi fu anche chi propose di interrogare la saggia glass-harmonica inventata da Beniamino Franklin, ma russava così spudoratamente che si reputò inutile il tentativo.
«La mia pazienza è al limite. Gong, preparati a suonare!» esclamò inesorabile l’Arpa.
Ma ecco farsi avanti l’umile scacciapensieri con l’aria di avere una comunicazione importante. Di cosa si trattava? Mistero. Bastò infatti ascoltare poche note di quella ridicola laminetta metallica per dimenticare ciascuno – e dallo strumento più nobile al più plebeo – il motivo di quell’assemblea; per cui, imbarazzato di trovarsi lì per niente, finì per riprendere il suo posto chi nelle bacheche e chi nel suo cantuccio.
Naturalmente il custode notturno, che da qualche parte vegliava, non si accorse di nulla. Che volete? Era un tipo coi piedi per terra, senza troppa fantasia.