Un Moretti tutto da riscoprire

È difficile trovare qualcuno che non abbia imparato sui banchi di scuola una delle sue poesie scritte col lapis, così come volle intitolare la sua prima raccolta, o che non si sia imbattuto in qualche suo romanzo. Il nome di Marino Moretti ritorna, dopo anni di silenzio, grazie ad una serie di iniziative culturali promosse dall’istituzione Casa Moretti del comune di Cesenatico, dove lo scrittore ha vissuto. La piccola e dignitosa casa situata lungo il Canale di Cesenatico, divenuta Museo Casa Moretti, è sede di un centro di studi e di ricerche letterarie sul Novecento. Ho ammirato, nel visitare la casa, la sapiente armonia con cui viene conservato ogni oggetto o mobile che ha segnato la vita dello scrittore e una leggera commozione ha pervaso il mio animo allorquando mi sono trovato nella sua stanza-studio, dinanzi al piccolo scrittoio contro il muro sul quale Moretti compose tutte le sue opere. Vi sono ancora adagiati la boccetta con l’inchiostro e il pennino, un piccolo libro di preghiere e, al muro, un’immagine di un Cristo sofferente e una foto della sua famiglia. Gli è sopravvissuta fino a pochi mesi fa, nell’angolo estremo del piccolo giardino dietro la casa, vicino all’antica legnaia, la famosa tartaruga, immortalata in alcuni versi. Si restava pensosi dinanzi a quel longevo animale: il tempo sembrava essersi fermato e un passato neanche troppo lontano affiorava con forza dalla simbologia delle cose semplici e umili. Un evento, significativo, dovuto proprio a Casa Moretti e alla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, è stata la pubblicazione del testo La fiera letteraria per Marino Moretti per i tipi di Clueb, a cura di Manuela Ricci, con un saggio di Guido Lopez e presentazione di Renzo Cremante. Significativo perché viene ripresentato alla cultura di oggi quel numero della prestigiosa rivista La fiera letteraria pubblicato nel 1955 per i settant’anni di Marino Moretti e che raccoglie gli interventi dei più autorevoli critici e scrittori del tempo. La Mondadori, all’epoca l’editore di Moretti, decise di affidare a Guido Lopez, direttore editoriale, la cura del numero monografico della rivista. Le resistenze di Moretti, scrittore schivo e timoroso, furono tante ma non sufficienti per frenare la determinazione della Mondadori e dell’amico Lopez. La rivista apparve il 25 luglio del 1955 ed ebbe grande risonanza. Come sottolinea oggi Renzo Cremante, la silloge, pur collocandosi al di qua del prodigioso terzo tempo poetico di Moretti, presenta ancora oggi motivi di interesse e sollecita nuove riflessioni ed indagini critiche sull’opera in versi e in prosa dello scrittore romagnolo. Moretti aveva cominciato giovanissimo con le Poesie scritte col lapis, negli anni in cui signore indiscusso della scena letteraria era Gabriele D’Annunzio. Quei primi versi, ispirati dalla semplicità della vita, da ricordi d’infanzia, da emozioni del cuore e da sentimenti sinceri di fraternità, si contrapponevano alla magniloquenza del vate a tal punto che la poesia di Moretti venne definita poesia crepuscolare. Definizione che Moretti non condivise mai, intuendo che dietro quell’aggettivo poteva nascondersi un’accezione riduttiva, quasi una mancanza di vigore e di impeto poetico. Difese la sua originaria ispirazione, che nasceva dal rapporto vivo con la sua gente, dalla trepida partecipazione alle vicende quotidiane del suo borgo di pescatori, dalla sofferenza dell’uomo. Un sentimento cristiano trasfigurava la poesia di Moretti che cresceva per antitesi, da un più vivo senso della realtà; ed egli, il poeta, indugiava sugli episodi meno grati dell’esistenza…, scrutando nella loro tremenda materialità per trascorrere poi, con moto improvviso, a consolare e ad amare le creature costrette a vivere in questa materia terrena. Voleva anche soffrire della durezza della crudeltà della vita per dare agli altri conforto delle proprie sofferenze, per comunicare con i propri simili. Non temeva di scendere nei recessi bui della vita umana perché in quel buio la piccola discreta lampada della sua pietà e del suo amore riluceva più chiara e più dolce. Gli era stato, senza dubbio, maestro il Pascoli nell’osservare le umili cose e nel parlare con umana semplicità, ma non aveva appreso il linguaggio pascoliano nella sua ardita sintassi, con quelle sue nuove forme impressionistiche. Covava nascosto, dietro quelle prime poesie, il piglio vigoroso ed energico del narratore. Presto, infatti, si accorse della intima propensione per la descrizione della realtà nelle sue vicende spesso amare, per la quale la poesia gli apparve limitata. Nacque allora il Moretti narratore della provincia romagnola, dove però la provincia non fu mai costume bensì una specie umana, quella beffarda e violenta, egoista senza misericordia: dei lestofanti di paese che hanno le loro vittime nelle creature di più delicato sentimento, deboli per troppa umiltà cristiana, quasi sempre donne. Ai lestofanti egli oppose i puri di cuore, creature indifese, emarginate e spesso nella solitudine, e con uno scatto geniale egli portò questi puri ad essere i protagonisti delle sue storie. Nascevano i grandi romanzi: Sole del sabato, I puri di cuore, La vedova Fioravante, La voce di Dio, I lestofanti, L’Andreana. Molti i nomi che sono stati accostati a quello di Moretti e che hanno avuto un certo influsso su di lui: Charles Louis Philippe, Dostoevskij, Mauriac, Duhamel, ma se qualcuno gli chiedeva quale era l’autore che lo aveva affascinato di più, egli non nascondeva la sua predilezione per il Dostoevskij de I fratelli Karamazov e L’idiota. Sono stati questi influssi letterari di oltralpe che hanno fatto di Moretti un autore della cultura europea e ciò spiega le moltissime traduzioni all’estero, soprattutto in Francia. Negli ultimi anni della sua lunga vita – è morto nel 1979 a novantaquattro anni – tornò inaspettatamente alla poesia con sorprendente lucidità, donandoci raccolte di grande forza poetica come Diario senza date o Le poverazze, con le quali corresse e ribaltò definitivamente quella definizione iniziale di crepuscolarismo: tutto dentro le cose, asciutto ed arguto guardò con un tocco di ironia la propria vita e quella altrui nella piena e matura accettazione delle lacerazioni e ferite. Gino Montesanto, scrittore romagnolo contemporaneo, ebbe la fortuna, con Dante Arfelli, di conoscere Moretti. Vivendo a Cesenatico, divenne frequentatore dello scrittore, il quale gli offrì la sua amicizia piena. Chiamato a testimoniare sull’opera di Moretti per i suoi settant’anni, così si espresse: Non ha mai tralignato, mai ha forzato la propria ispirazione, mai ha ceduto un passo alle mode, ai vezzi, al costume variamente imperanti. Sono segni inconfondibili, mi sembra, che possiede soltanto chi appartiene alla non vasta schiera degli scrittori di razza… I suoi personaggi hanno sangue e vita da vendere e il tempo non farà ad essi male, non li deturperà, ormai ben permeati come sono di poesia.

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