Un mondo unito oltre i conflitti

Tanti i Genfest vissuti, ma quello del 1995 fu speciale: c’erano le guerre, ma la speranza non poteva morire
Giovani africani

La mia vita è stata accompagnata dal Genfest fin dai miei sedici anni. Al mio primo appuntamento con i Gen (giovani del Movimento dei focolari) per le prove del Genfest non vi trovai nessuno. Non sapevo bene cosa fosse ma era stato spostato il giorno delle prove  e non mi era arrivata in tempo la notizia. L'appuntamento successivo era alla fermata del pullman, per partire per Caserta, dove quel giorno alle 10 sarebbe iniziata una tappa locale del GenFest: era il 1987. Rimanemmo invece bloccati da un traffico inatteso e arrivammo solo a fine mattina. Entrammo quasi in punta dei piedi nel palazzetto completamente buio: una danza eseguita da ragazzi vestiti di bianco brillavano sotto la luce nera della lampade di wood.

Non erano certamente professionisti ma il risultato era affascinante e straordinario: si guardavano, si sorridevano, si aspettavano, c'era un'aria speciale che esprimeva unità e sintonia. Era la danza di quello che avevo respirato sul pullman durante il viaggio: delicatezza, gioia, ascolto.
Poi le luci si accesero e cominciò una canzone: era un mix di tanti pezzi ed i musicisti erano bravissimi. Mi sorpresi a gridare e battere le mani con entusiasmo, dentro il cuore qualcosa si muoveva: avevo trovato, ero arrivata a casa. Del programma non ricordo nient'altro.
 
Quando venni a Roma per frequentare l'università cercai subito questi giovani e al GenFest del 1990 ero al Palaeur a piangere di gioia come altre migliaia di giovani mentre un giovane monaco buddista si inginocchiava davanti al Papa e mentre attraverso una danza un muro di Berlino di cartapesta crollava tra trampoli e bandiere. 

Ma il "mio" GenFest fu quello del '95. Frequentavo l'ultimo anno dell'università e un giorno alla settimana andavo al centro dei Giovani per un Mondo Unito di Rocca di Papa per collaborare, con altri giovani provenienti da diverse parti del mondo, ai lavori di segreteria. A novembre gli ultimi focolai di guerra in Burundi stavano lasciando il passo al conflitto nei paesi della ex-Jugoslavia, Desert Storm aveva fatto terra bruciata in Iraq. Decidemmo che il titolo del GenFest dovesse essere emblematico, di grande impatto rispetto ai conflitti che attraversavano il pianeta. Scegliemmo "Facciamo vedere il mondo unito" perché noi lo sperimentavamo, ma il mondo così martoriato aveva davvero bisogno di vederlo per sperare ancora.
 
In febbraio cominciammo le prove e, con mia grande sorpresa, assieme ad Antonio, Beatrice e Saverio, fui scelta per presentarlo. Fu un'esperienza incredibile: c'era chi ballava, chi cantava, chi inventava le coreografie. Provammo e riprovammo, scrivemmo le presentazioni ma soprattutto ci fu data la possibilità di conoscere a fondo gli altri Gen venuti da tutto il mondo e che durante il GenFest avrebbero raccontato la loro storia. Era come stare al centro di un ricamo: protagonista era la vita vissuta. Sentivo dentro una grande gioia e uno slancio fortissimo, frutto certamente della forza del Vangelo. Nell'Amore il GenFest era già fatto: era in atto in tutto il mondo lì dove ognuno di noi era al suo posto, vivendo controcorrente, testimone di unità.

Lo spettacolo del PalaEur gremito di giovani del GenFest '95 resterà per sempre nel mio cuore. All'inizio dello spettacolo, mentre mi accingevo a dire le prime parole di saluto, il cuore mi batteva all'impazzata. Ma tutto, anche quella mia paura, si sciolse in un soffio nell'abbraccio collettivo di quei 15.000 giovani che testimoniavano -allora come oggi- che il mondo unito non é utopia.


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