Un monaco buddhista tra i manifestanti

Luang Phu Buddha Issara si è unito ai dimostranti che protestano contro il governo e si sta impegnando affinché gli insegnamenti del Buddha tornino a ispirare i politici e i governanti
Continuano le proteste in Thailandia

In Thailandia puoi essere ordinato monaco buddhista, se il tuo cuore ti guida verso quello stato, e godere di un’ottima vita in pace e serenità, magari con un bel tempio da amministrare e un marcato disimpegno politico! Da circa 81 anni, infatti, i monaci non possono partecipare attivamente al dialogo politico e devono, in un certo modo, essere al di fuori delle controversie: come se vivessero in un limbo o sospesi da terra, un po’ come le rappresentazioni fantasiose che ce li fanno vedere "sospesi" in aria pronti a spiccare il volo! Niente di più inesatto, dicono in tanti!

La politica in Thailandia è vista come una cosa "sporca", lontana dal distacco, dalla neutralità e dall’ascesi tipica di coloro che indossano il vestito color zafferano e vogliono raggiungere la pace interiore allontanandosi completamente dallle dispute del mondo. Questo recitano le regole introdotte dopo la stesura della Costituzione thailandese, 81 anni fa, dal Consiglio supremo: i monaci non possono votare né partecipare all’attività politica. Sono regole suggerite dai politici al Consiglio supremo per tener lontano il valore etico che i monaci, o i "santi", "i puri", davano alla vita politica nazionale e internazionale. Troppo scomodi, troppo radicali e irraggiungibili per chi voleva fare della real politic il proprio campo d’azione e l’occasione per esercitare la propria influenza, il proprio potere, sfruttando la povera gente: la politica è vista come l’occasione d’oro per diventare ricchi, sempre più ricchi. Tutt’ora è così.

Da 81 anni, la storia thai, tristemente, è stata testimone di questa scissione tra il sacro e il profano: una vera dicotomia o schizofrenia sociale che ha causato tanti guai, sotto gli occhi di tutti: non ultimo il governo attuale. «Che i monaci predichino quanto vogliono sul dharma: noi abbiamo la politica in mano e la politica è denaro», così si pensa e si vive in Thailandia. Politici ricchi, corrotti e corruttori che si sono fatti leggi ad personam, che firmano progetti che le proprie aziende porteranno a termine con controlli parlamentari che i propri uomini approveranno. Ma la storia thailandese porta ben altri esempi di vita politica.

I monaci sono stati da sempre ottimi consiglieri dei regnanti e difensori dei più poveri; hanno dato un influsso etico alla vita politica determinante in molte occasioni lungo la storia di questo bel Paese del Sud-est asiatico. I re, spesso, prima di prendere importanti decisioni, si rivolgevano a loro per chiedere consiglio, luce e conformità agli insegnamenti sacri del Buddha: quelle leggi, quelle decisioni, rispecchiavano gli insegnamenti del Buddha? Oppure erano destinate ad appensantire la bilancia dei demeriti personali al momento della morte? Gli abati, santi, importanti, famosi ed anziani (l’anzianità è determinante in Asia per poter dare consigli) erano sempre disponibili a una parola di sapienza per chi regnava. Si sono evitate guerre e ingiustizie, almeno fino a 81 anni fa.

Anche perché ogni re (come del resto ogni maschio thailandese) aveva passato un periodo presso un monastero per praticare e interiorizzare il dharma (il complesso degli insegnamenti del Buddha). Per tutta la vita ne sarebbero stati i portatori e i difensori in mezzo al popolo. Un po’ come il richiamo di papa Francesco alle suore di clausura di Assisi: essere «donne umane, che comprendono bene i problemi della gente e sono in grado di dare consigli alla gente, che si sente capita da loro». Dato il numero attuale dei monaci in Thailandia, circa 200 mila, il loro influsso sulla vita pubblica e politica è indubbiamente determinante per la vita del Paese.

Con l’avvento della modernità, i legislatori hanno ben pensato di togliere dalla vita politica il grande apporto etico dei monaci: grande sì, ma anche scomodo per molti. Come poter conciliare la vita politica ed economica con gli insegnamenti del Buddha? I padri della Costituzione thailandese decisero di mettere una legge per far votare tutti i cittadini, ma dall’altra spinsero e chiesero al Consiglio supremo dei monaci di proibire a quest’ultimi di votare e di partecipare attivamente alla vita politica. I monaci, seppur cittadini, si videro privati di una loro tipica funzione: il richiamo all’eticità della vita politica e perciò tagliati fuori da ogni disputa importante e sostanziale del Paese, pena l’allontanamento dalla vita monastica. Questo non solo per loro, ma anche per i sacerdoti e tutti colori che ricevono lo status di "uomo religioso". Come se essere religioso significasse non essere un buon cittadino thai. Da anni si discute su questa norma e tanti monaci hanno alzato la voce a sfavore di questa legislazione troppo restrittiva e ingiusta. Solo che in questo (come in altri) periodi di proteste e malcontento popolare, la discussione ha assunto toni forti e davvero accesi.

Da tanto tempo si sono manifestati i pro e i contro. I 200 mila voti dei monaci fanno paura: ma si teme ancora di più l’influsso sui voti dei fedeli che frequentano i templi. Da tempo, ormai, il famoso monaco e abate Luang Phu Buddha Israa ha deciso di uscire a vita pubblica e unirsi apertamente ai manifestanti che da sei mesi invadono e bloccano le strade di Bangkok. Come ha dichiarato lui stesso, ha deciso di lasciare la comodità della sua stanza nel tempio che dirigeva per stare con i manifestanti e dare, se fosse necessario, la vita per loro: «Quando sono uscito dal tempio sapevo cosa facevo e che sarei ritornato soltanto dopo la vittoria». Tanti storcono il naso al fatto che un monaco prenda diretto controllo di un palco della famosa protesta, di uno dei siti delle manifestazioni e precisamente quello che blocca tutto il complesso degli edifici di Chaeng Wattana.

Lui, il monaco che ha deciso di tornare all’antico ruolo che i monaci avevano prima della riforma, dirige e impartisce ordini ben precisi ai manifestanti. In questi giorni, per fronteggiare l’avanzata della polizia, ha chiesto di spostare le auto, di bloccare l’avanzata dei corpi anti-sommossa dello Stato: parla e contratta con la polizia, cerca di convincere e far desistere dagli attacchi. Commenta lui stesso: «Io non sono cambiato: il mio cuore è sempre nella pace e nel distacco. Ma ora si tratta di lavorare per centinaia, decine di migliaia di persone che beneficeranno da quest’azione. BIsogna far ritornare il dharma a guidare la società. Non è possibile rimanere seduti quando ci sono politici che rubano e corrompono la gente. Io non offendo nessuno e dico la verità: è una bugia che i politici sono corrotti? Che la gente soffre? Dobbiamo lottare per il bene della nazione. Sono disposto ad offrire la mia vita in cambio di quella di tanta gente; ma siamo tutti figli del re e dobbiamo fare quello che nostro padre desidera. Vivere per il bene comune».

Dopo le elezioni, ampiamente contestate e praticamente ritenute non valide, le manifestazioni in piazza continuano nella capitale thailandese: la polizia, il giorno di San Valentino, ha ripreso alune piazze e ponti, ma il malcontento rimane e i contadini continuano a chiedere il pagamento delle quote del riso, dopo mesi di attesa, iniziando a denunciare il governo per i mancati pagamenti. Il governo di Yinluck Shinawatra fatica a tener testa alla situzione e la recessione è lo spettro che aleggia all’orizzonte. C’è bisogno di un vero ritorno a una politica che contenga temi etici sentiti da tanti. Forse è tempo che qualcuno ammetta le proprie responsabilità e si faccia da parte: soprattutto c’è bisogno di una nuova classe dirigente che sappia e voglia portare in politica i temi che oggi contano: non l’io ma il noi, non il mio interesse ma l’interesse comune.

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