Un modello di vita alternativo

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Un anno della propria vita. Ovvero 12 mesi. Ovvero 365 giorni. Mettetela come vi pare, è un tempo non indifferente nell’esistenza di una persona. Dunque non si può buttarlo al vento. Ne sa qualcosa chi viene bocciato a scuola, o chi per qualche giorno non rientra nei limiti di un concorso… Perché mai allora un giovane dovrebbe impiegarlo aderendo al servizio civile? Tanto più che quanto prima la naja sarà abolita. Forse nel 2007 o anche nel 2004. E dunque, tanto di guadagnato. Perché porsi il problema? Perché nel frattempo il servizio civile, nato come alternativa a quello militare, ha compiuto trent’anni. Ha cioè tre decenni di storia da raccontare. E come nella nostra vita può capitare di andare avanti per anni un po’… “tirando a campare” finché non interviene un evento che ci obbliga a decidere se continuare in quel modo oppure cambiare direzione od anche smettere, così sta succedendo per il servizio civile. L’obiezione di coscienza, una vera e propria conquista maturata nel 1972, offriva infatti a chi volesse prestare un altro tipo di servizio da quello della chiamata alle armi, la possibilità di rendersi utile al paese in maniera diversa. In questo lungo periodo enti, associazioni, organismi vari si sono attivati perché tale esigenza trovasse strutture, campi d’azione e luoghi adatti. Non sempre l’impegno è stato quello richiesto e talvolta i risultati non sono stati all’altezza degli obiettivi prefissati. Non è isolato il caso di chi, partito con grande slancio, si è ritrovato deluso a svolgere compiti poco interessanti e gratificanti. “Questa scelta l’ho fatta per rendermi utile – dice Francesco di Siracusa -, aspettandomi di trovare un’atmosfera di fraternità, disponibilità e… tanto lavoro. Invece spesso non si è capiti, neanche dagli assistiti, e ci si trova davanti a situazioni difficili da affrontare. Perché questo non sia un anno perso bisogna viverlo con la predisposizione giusta, svolgerlo solo se si è seriamente motivati, informarsi bene prima di scegliere. Altrimenti si rischia di fare un’esperienza poco utile alla propria formazione. E poi non avere troppe pretese né aspettarsi un clima particolare ma andare lì per lavorare seriamente”. Vero è che il regolamento promulgato nel ’77 vieta agli enti di utilizzare gli obiettori in posti di organico o in sostituzione di personale dipen- dente, cosa questa che non sempre agevola un impiego efficace degli stessi. Ma è anche vero che ognuno di noi, per sentire la validità di quello che fa, ha bisogno quantomeno di partecipare alla cosiddetta mission aziendale, cioè quell’insieme di scopi, princìpi e finalità della struttura per la quale si lavora e si impiegano tempo ed energie. A tal proposito risulta interessante quanto riferisce il prof. Ambrosini (di cui nel box pubblichiamo un’intervista) nell’ambito di una ricerca da lui effettuata sul servizio civile. Il responsabile della sede milanese di un’associazione nazionale racconta infatti di aver incontrato in un corso di formazione al servizio civile due ragazzi. Dopo aver chiesto loro cosa facessero e aver saputo che entrambi svolgevano gli stessi identici compiti, (stare in ufficio, rispondere al telefono, fare fotocopie…) scopre però che uno è stufo di quello che fa, l’altro è felicissimo. La differenza stava nel fatto che il secondo lavorava all’interno di un progetto di valorizzazione del commercio equo e solidale, sapeva quello che faceva, lo condivideva. Il primo evidentemente era solo un “impiegato”. Luca ricorda il suo servizio civile di due anni fa in una cooperativa di ragazzi portatori di handicap. “Sono stati mesi duri – dice -, poiché mi sono trovato di fronte ad una realtà di dolore che non conoscevo, ma anche e soprattutto arricchenti, che mi hanno fatto crescere e che mi hanno reso consapevole dei problemi che ci circondano e che molto spesso ignoriamo. Ho capito che siamo tutti legati con un filo ed io non posso star bene se qualcuno accanto a me soffre. Dopo il servizio civile ho così deciso di continuare a fare volontariato e sono felice, sento che la mia esistenza non è fine a sé stessa”. Già perché in effetti, come ha avuto modo di dire Guido Bertolaso lo scorso ottobre, in qualità di direttore generale dell’Ufficio nazionale per il servizio civile, si può parlare di un sistema militare ma anche di un sistema civile di difesa del paese. “Esiste un segmento armato – egli afferma – e un sistema non armato, rappresentato da tutte le istituzioni e i soggetti che difendono la patria difendendo la coesione sociale del paese, lavorando perché il paese sia largo abbastanza per tener dentro tutti i cittadini, evitando che i meno fortunati siano emarginati dalla collettività, siano essi anziani soli, handicappati, bambini in difficoltà o persone che rischiano di essere isolate per l’uso di sostanze stupefacenti. Così pure per difendere le condizioni di vita della comunità nazionale, lottando contro i rischi di disgregazione sociale, il ridursi delle occasioni e delle opportunità di una vita di relazione interpersonale interessante e stimolante, e quelli di impoverimento delle condizioni di vita che passano attraverso il degrado dell’ambiente, il depauperamento del patrimonio, la riduzione della sua accessibilità, il deperimento della vita culturale, e così via, difendendo, in ultima analisi, un livello accettabile di qualità della vita per tutti”. E indica una sfida sempre aperta: “Dobbiamo tirar fuori il meglio di noi e delle nostre organizzazioni, imparare a collaborare, dare garanzie di capacità nel gestire i giovani e nel formarli. Guai a noi se suscitiamo speranze e non siamo in grado di realizzarle. Nulla è più pericoloso per il servizio civile e per tutti gli enti di un tam tam negativo avviato da giovani che hanno accettato le nostre proposte e ne sono rimasti delusi”. Il futuro del servizio civile? È incerto per alcuni aspetti. Ma forse si può credere che questo passaggio obbliga quantomeno ad una scelta di qualità in chi lo propone e a motivazioni profonde in chi vi aderisce. Ragazzi e ragazze dai 18 ai 26 anni. Nella cui generosità sono in molti a sperare. ESPERIENZE CONCRETE, NON SOLO GRANDI IDEALI A colloquio col prof. Maurizio Ambrosini, docente presso la facoltà di Scienze della formazione di Genova. Il servizio civile è andato di pari passo con l’obiezione di coscienza. Quale il significato in questi trenta anni dalla sua istituzione? È mutato nel tempo? “Credo che i mutamenti principali siano due. Il primo è che inizialmente il servizio civile era una scelta di èlite, con forti connotazioni ideali; nel tempo è diventato invece una scelta di massa, un’alternativa spesso anche pratica e a volte strumentale del più scomodo servizio militare. Gli obiettori sono diventati molto più numerosi nel momento in cui i due tipi di servizio sono stati equiparati come durata e sono diventati più eterogenei socialmente, culturalmente, idealmente, con gradi di motivazione e di coinvolgimento anche diversi. L’altra grande differenza è che a mio avviso inizialmente esso aveva una forte connotazione di contestazione dell’organizzazione militare, della guerra, degli eserciti, dell’uso delle armi. Col tempo ha assunto la connotazione positiva del “fare qualcosa di utile per gli altri”. L’accento cioè si è spostato dall’obiezione al servizio. Ed è questa seconda valenza che poi viene istituzionalizzata dalla nuova legge sul servizio civile volontario”. Un anno destinato alla collettività. Che effetti può avere sulla società questo tempo della vita di migliaia di giovani? “Intanto ha una valenza di auto-educazione per chi lo fa. Si tratta di un tem- po di transizione spesso situato tra la fine degli studi e l’inizio del lavoro. È un periodo in cui un giovane può decidere di dedicare un pezzo della sua vita facendo qualcosa per gli altri e formando contemporaneamente se stesso, sviluppando attitudini, potenzialità, capacità anche professionali. È successo infatti che sperimentando la bellezza e il fascino di dedicarsi agli altri, soprattutto persone deboli, tanti hanno riorientato il loro percorso professionale, il loro progetto di vita verso il servizio alle persone. “Prevedere che esista un corpo di persone che istituzionalmente per un anno si dedicano a servizi di pubblica utilità significa poi dare spazio e rilievo nella società alla dimensione della dedizione agli altri. È un segno per la collettività nel suo insieme.Vuol dire che oltre al lavoro e alla sfera familiare è importante, utile e vantaggioso contare su una riserva di energie, di disponibilità di cuori in grado di dedicarsi al servizio al prossimo”. I giovani hanno bisogno di grandi ideali ma anche di poter sperimentare concretamente quello in cui credono. Che importanza ha per una formazione umana integrale questo tipo di approccio alla vita tipico anche del servizio civile? “Io penso che il servizio civile risponda a una pluralità di motivazioni che vanno dalle grandi scelte ideali a quelle più personali – anche minimaliste se vogliamo dal punto di vista dei valori – come affinare le proprio capacità professionali o riempire il tempo drammatico, spesso molto lungo, della ricerca del lavoro. ” Anche quando però non partisse da precise scelte ideali credo che comunque sia un’occasione per arrivare ai grandi valori. L’incontro con persone, organizzazioni, leader, portatori di bisogni possono aiutare ad educarsi ai valori più grandi. Questo sarebbe un grande dono che il servizio civile può fare per l’itinerario formativo dei giovani”.

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