Un mito del pallone

Ricordo di un grande del calcio con una vita difficile. George Best, talento purissimo e carattere eccentrico, morì a soli 59 anni. Nei giorni scorsi l’anniversario della sua scomparsa
George Best

«Maradona good, Pelè better, George… Best»: è uno dei più noti tra i tanti leggendari aforismi, dall’autore ancora oggi dibattuto, immortalato su innumerevoli t-shirt per i più romantici appassionati di ogni tempo del pallone, che celebrano la leggenda di George Best, del quale lo scorso 25 Novembre è stato ricordato il nono anniversario della morte.

Chi era? Tra i tanti scorci di cronaca sportiva e gli aneddoti che si perdono tra la storia e il mito, vale la pena ricordare uno tra i più significativi ed emblematici passaggi della carriera di Best, ovvero il più lampante emblema calcistico di genio e sregolatezza. Era il 1976, si giocava Irlanda del Nord-Olanda: al 5' minuto George Best prese palla, saltò un uomo, ne saltò un altro, ma anziché puntare la porta tornò palla al piede verso il centro del campo, per puntare Cruyff, uno dei giocatori più forti e famosi di tutti i tempi, pallone d’oro e Campione d’Europa. Arrivato davanti a lui, gli fece una finta di corpo e poi un tunnel, quindi calciò via il pallone, si girò e gli disse «tu sei il più forte di tutti ma solo perché io non ho tempo».

Talento purissimo racchiuso nell’esile fisico di un ragazzo alto 1,70 per 60 kg, George nacque a Belfast il 22 Maggio del 1946. Carattere eccentrico, carismatico, imprevedibile e baldanzoso, passò alla storia anche con il soprannome di “Quinto Beatle” per lo stile comune agli altri quattro quanto ad abbigliamento, basette e taglio di capelli. Ma soprattutto perché, proprio come i mitici quattro della musica, un artista del rettangolo verde come lui non si era mai ammirato e, probabilmente, non si rivedrà. «Credo di aver scoperto un genio», telegrafò ai suoi dirigenti un osservatore del grande Manchester United nel 1963, dopo aver osservato il tocco di palla del ragazzino prodigio. Le numerose citazioni sul web, alcuni contributi scritti e cinematografici offrono un quadro più che esauriente di un fantasista, famoso soprattutto come ala destra, dalla creatività insopprimibile e dal tocco elegante, capace di vibrarsi leggiadro tra le arcigne marcature avversarie ed eludere con disarmante facilità in dribbling un difensore dopo l’altro.

Nel 1968 conquistò la Coppa dei Campioni con il Manchester United vincendo contro il Benfica per 4 a 1: a soli 22 anni contribuì con una rete al primo successo internazionale del club inglese, aggiudicandosi lo stesso anno la classifica dei cannonieri del campionato inglese, con ben 28 marcature, e il Pallone d’Oro quale miglior giocatore d’Europa. Volto sfavillante e fugace di una medaglia per metà oscura, che purtroppo non tarderà a mostrarsi. Dopo 11 anni con la celebre maglia numero 7 degli stessi Red Devils (’63-’74), la parabola di Best cominciò ad accusare definitivamente il declino segnato da una vita mondana e dissoluta, spiattellata senza mezzi termini in toto sui tabloid britannici. «Se Matt Busby (manager, ndr) fosse stato più duro con me forse le cose sarebbero andate meglio. L'avevo sempre fatta franca, pensavo di poter fare tutto ciò che volevo. Le regole della squadra non valevano per me», dichiarò in seguito.

«E’ stato l'alcool che nel 1984 mi ha portato alla prigione di Pentonville per guida in stato d'ebbrezza, reato che sicuramente non mi avrebbe fatto finire in gattabuia se poi non avessi preso a testate un poliziotto»: un’altra espressione che è tutta un programma, tra la consapevole lucidità in merito allo squilibrio e la spocchia della più sfrenata imprudenza. Nel 2002 fu sottoposto a un trapianto di fegato reso necessario per i danni all’organismo dall’abuso di alcol. Nel 2005 venne ricoverato al Cromwell Hospital di Londra per un’infezione renale: non aveva smesso di bere dopo il trapianto, chiese di essere fotografato sul letto di morte, seppure in condizioni disperate, ridotto a poco più di un mucchio d’ossa per associare all’istantanea il messaggio «Non morite come me». Best morì di lì a poco, a 59 anni, archiviando per gli annali del calcio una delle pagine più memorabili, nel bene e nel male, della storia.

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