Un ministero nuovo?
Si propongono al centro del ministero due parole astratte: la famiglia e la disabilità. In realtà tutti sappiamo bene che esistono solo le famiglie e le persone disabili. I disabili non sono principi astratti da difendere con la retorica, ma persone, che ogni giorno cercano di vivere la loro vita con dignità.
Nel caso specifico, al centro non stanno principi e dottrine, ma appunto le persone disabili, con tutta la loro fatica e con tutte le loro risorse.
Le persone disabili sono difese dalla Costituzione, nei suoi principi e nei suoi valori. Sarebbe stato bello che al ministero fosse andata una persona disabile, secondo il principio che tutte le associazioni riconoscono: niente su di noi, senza di noi. Sappiamo difendere i nostri valori e i nostri diritti con passione, intelligenza ed equilibrio.
Le persone disabili domandano diritti ed eguaglianza, risorse e nuovi strumenti, capaci di porre queste persone al centro delle politiche. In questa prospettiva molto si può fare.
Il governo di centrosinistra nella passata legislatura ha dato più risorse, ha fatto la legge sul dopo di noi, ma ha dato l’impressione di costruire iniziative episodiche, senza una visione, senza uno sguardo nuovo, che portasse ad una assunzione di responsabilità e a politiche coraggiose sui temi della salute, della scuola, del lavoro, del turismo, dei beni culturali etc., in una prospettiva organica e non occasionale ed episodica, che spesso stimola ed alimenta i corporativismi delle associazioni.
Chi per primo ha lanciato il ministero delle persone disabili è stato Nelson Mandela, con il suo primo governo dal 1994 al 1998. La sua formula più raffinata recitava così: ministero delle donne, dei bambini e delle persone disabili. Cioè si creava un ministero che difendesse le persone più esposte, più fragili e più contestate. Un’azione politica che poneva al cuore del governo Mandela bambini, donne e disabili, diventando la misura di una nuova politica.
Una politica a partire non da principi astratti, ma dalle persone e da quelle più esposte, che avevano bisogno di essere tutelate e che dovevano stare al primo posto, nel cuore del governo, non per esibire medaglie, ma per cambiare le politiche.
Sembra che il nuovo ministro si sia occupato delle barriere architettoniche o comunque abbia dichiarato la sua disponibilità ad agire su questo versante, certo di grande rilievo. La legge sulle barriere architettoniche è del 1986, trent’anni fa. Alla fine sono mancate le risorse, ma è mancata prima la politica e la cultura. E tutti i partiti, compreso quello del nuovo ministro, in questi anni sono stati inadempienti, non hanno udito, non hanno visto e non hanno parlato.
Basterebbe entrare nei palazzi del potere per sperimentare la politica della inaccessibilità. Troppi scalini, troppe barriere, che abbiamo visto anche in queste ore convulse.
Se il 4 marzo fossero stati eletti 30 senatori e 30 deputati disabili, avremmo dovuto rifare profonde modifiche ai due palazzi per renderli accessibili, dalle aule alle toilette.
La cecità della politica e dei politici non si supera con gesti e azioni improvvisate e di breve periodo, ma con una azione di medio periodo, che coinvolga le associazioni, la società civile, le famiglie e le persone stesse con disabilità.
A vedere le liste elettorali e gli eletti, pochissimi sono i disabili, come se fossimo cittadini di serie B. Sembra che non siamo degni di essere eletti, mentre invece molto potremmo fare insieme, utilizzando il contributo e l’esperienza di ciascuno.
Non siamo trofei di guerra da esibire nei salotti buoni del potere, siamo cittadini a pieno titolo, che hanno diritti depositati nel cuore della costituzione: i diritti delle persone disabili, fondati sui valori costituzionali, della persona.
E’ necessaria una rivoluzione culturale, che metta al centro la Costituzione e i suoi valori, senza i quali siamo perduti, il paese è perduto, e i disabili saranno senza futuro, accompagnati dalla politica delle mance. Una elemosina non si nega a nessuno, tanto meno ai disabili, così pensiamo anche di essere buoni.
In questi anni è cresciuto l’odio verso i disabili. Inchieste lo hanno mostrato, come la narrazione di episodi di cronaca. Il governo deve essere severo su questo. Se oggi volessimo misurare l’impegno di applicazione della costituzione, dovremmo valutare quanto è stato fatto per le persone disabili in termini di diritti e di risorse.
Questa deriva violenta va fermata con una rigorosa applicazione della carta costituzionale e con un pieno compimento dei valori costituzionali e con politiche e culture coraggiose.
Se dovessi dare un consiglio sul che fare, partirei dalla scuola, dalla sua accessibilità, dalla sua capacità di formare e di aprire alla università e al lavoro. Investire su un ragazzo disabile significa produrre percorsi formativi, capaci di valorizzare il futuro di questo ragazzo e poi l’inserimento nel lavoro, per dare a lui e a tutti la possibilità del lavoro. Senza il lavoro, il disabile muore.
Il dopo di noi si costruisce così, investendo in termini culturali, spirituali e operativi sulle persone disabili. Hanno molte risorse, hanno molto da dare, sta a noi riconoscere e valorizzare tutto questo.
Partiamo pure dalle barrire architettoniche, ma poi aboliamo le barriere culturali, che sono ben più difficili e impegnative. C’e’ un partito che ha l’entrata della sua sede nazionale a partire da un vistoso scalino, che non fa problemi a nessuno se non ai disabili, che difficilmente andranno in quel partito.
Ma tutti sono in grave ritardo sulle questioni che riguardano le persone disabili. In realtà la politica, molto spesso, è cieca, sorda e muta verso le persone disabili e i politici sono ciechi, sordi e muti di fronte al patire delle persone. Un cambiamento dell’orizzonte migliorerebbe non solo la politica, ma anche la vita delle persone disabili.