Un messaggio non solo all’Africa

Il viaggio appena concluso di papa Francesco in Kenya, Centro Africa e Uganda, una grande lezione di coraggio, di valori e di dialogo. Quanto Francesco ha detto in quelle terre potrebbe essere una road-map per la convivenza
papa

Papa Francesco è tornato da Roma dal suo primo viaggio in Africa ed è tornato con molti messaggi. Alcuni li ha dati all’Africa a cui ha donato speranza, dignità, affetto e guida contro i suoi mali endemici, soprattutto la corruzione. Ma ne ha dati tanti anche al resto della Chiesa e, se stiamo attenti, al mondo intero. Vorrei azzardare che il suo viaggio è stata la risposta forse più vera e concreta alle strategie, qualsiasi esse siano, degli attentati di Beirut, di Parigi e di Bomako. Bergoglio è l’unico uomo oggi che con il suo coraggio – ha affrontato un viaggio con rischi altissimi in un momento in cui l’Europa si è blindata nel timore paranoico di altri attentati – ha dato una risposta concreta e visibile: la paura si sconfigge con l’incontro con gli altri.

Colpisce il fatto che in un continente come quello africano il papa abbia accettato e voluto incontri con persone di altre fedi. Non solo. È andato a visitare una moschea e non una di quelle storiche come era successo a Damasco o a Istanbul, ma una povera moschea della Repubblica del Centro Africa, dove i media ci continuano a dire che si combatte una guerra diventata di religione. È, tuttavia, una moschea simbolo. È l’immagine di un Islam che si diffonde in Africa, che fa spesso paura come in altre parti del mondo, che è associato con la violenza di gruppi vari, fra cui il Boko Haram. Papa Francesco ha voluto incontrare anche l’Islam africano con l’entrata nella mosche di Bangui per dire che non esiste solo quello medio-orientale e che l’incontro e il dialogo fra i credenti devono avvenire dovunque.

 

Proprio in questa moschea il capo della cristianità ha rivolto parole di pace e, soprattutto, di accoglienza, riconoscendo che la visita in quella parte dell’Africa «non sarebbe completa se non comprendesse anche questo incontro con la comunità musulmana». «Tra cristiani e musulmani siamo fratelli» e quindi, «dobbiamo considerarci come tali, comportarci come tali». Il capo della Chiesa cattolica, sempre più leader mondiale e punto di riferimento spirituale, ma anche etico ed umano di milioni di persone che non fanno parte della Chiesa cattolica – meriterebbe un’analisi a parte il suo incontro con le comunità evangeliche – ha saputo dare un esempio chiaro di cosa significa dialogare: dimenticare la paura, entrare in casa dell’altro, accettare il suo benvenuto e riconoscerlo come fratello. Ma Bergoglio ha anche parlato chiaro, sottolineando quanto sia falso far credere che una guerra sia per motivi di credo religioso. «Sappiamo bene – ha detto il papa – che gli ultimi avvenimenti e le violenze che hanno scosso il vostro Paese non erano fondati su motivi propriamente religiosi. Chi dice di credere in Dio dev’essere anche un uomo o una donna di pace».

Ancora ieri un notiziario dell’Italia presentava la violenza in quell’angolo dell’Africa con il solito ritornello del conflitto religioso. Bergoglio ha saputo leggere nella storia e nelle tradizioni di questi popoli, riconoscendo che «cristiani, musulmani e membri delle religioni tradizionali hanno vissuto pacificamente insieme per molti anni». A fronte di questo ecco allora il suo invito: «Dobbiamo dunque rimanere uniti perché cessi ogni azione che, da una parte e dall’altra, sfigura il Volto di Dio e ha in fondo lo scopo di difendere con ogni mezzo interessi particolari, a scapito del bene comune». Da questa idea di unità della famiglia umana il suo invito accorato e diretto: «Insieme, diciamo no all’odio, no alla vendetta, no alla violenza, in particolare a quella che è perpetrata in nome di una religione o di Dio. Dio è pace, Dio salam».

 

Non basta. Papa Francesco ha anche saputo ringraziare chi ha lavorato per questo, lontano dagli schermi e andando contro corrente. «In questi tempi drammatici – ha riconosciuto – i responsabili religiosi cristiani e musulmani hanno voluto issarsi all’altezza delle sfide del momento. Essi hanno giocato un ruolo importante per ristabilire l’armonia e la fraternità tra tutti. Vorrei assicurare loro la mia gratitudine e la mia stima. E possiamo anche ricordare i tanti gesti di solidarietà che cristiani e musulmani hanno avuto nei riguardi di loro compatrioti di un’altra confessione religiosa, accogliendoli e difendendoli nel corso di questa ultima crisi, nel vostro Paese, ma anche in altre parti del mondo».

In questi quasi tre anni di pontificato questo papa ci ha abituato a gesti semplici, ma forti, che hanno suscitato e sempre più suscitano l’entusiasmo di chi crede e di coloro che non credono o che hanno una fede in una diversa tradizione religiosa. È un uomo capace di coinvolgere chiunque sappia accettare l’invito alla riconciliazione, alla fraternità e alla solidarietà tra tutti. Qui sta una lezione forte anche per la nostra Europa, presa dal panico, ingenuamente manipolata dai signori del terrore e della guerra che, attraverso una violenza inaudita a livello fisico ed una forma non meno crudele a livello mediatico, hanno ormai re-introdotto un termine dimenticato da decenni: guerra. Ma è necessario credere in quelli che papa Francesco definisce ‘alti ideali’; prima di tutto, a uomini e donne, che hanno il compito di assicurare il buon governo, uno sviluppo umano integrale, un’ampia partecipazione alla vita pubblica della Nazione. E Bergoglio si è rivolto anche a chi fa politica, a chi amministra e a chi si occupa di relazioni internazionali. Rivolgendosi e diplomatici e politici a Entebbe in Uganda non ha fatto sconti, ricordando come i martiri sono capaci di rammentarci che «nonostante le nostre diverse credenze religiose e convinzioni, tutti siamo chiamati a cercare la verità, a lavorare per la giustizia e la riconciliazione, e a rispettarci, proteggerci ed aiutarci reciprocamente come membri dell’unica famiglia umana».

Fraternità, riconoscimento di appartenenza alla stessa famiglia, categorie che il papa ha saputo introdurre nel vocabolario di politologia di questo tremendo 2015, macchiato di sangue e vittima di violenze inaudite, quelle che conosciamo e quelle che, purtroppo, non vengono raccontate e pubblicizzate. Significativo il gesto di un pontefice che ringrazia un Paese, l’Uganda, per il suo «impegno eccezionale nell’accogliere i rifugiati, permettendo loro di ricostruire le loro esistenze nella sicurezza e facendo loro percepire la dignità che deriva dal guadagnarsi da vivere con un onesto lavoro». Proprio a questo proposito, senza nascondere come il nostro mondo sia oggi segnato da guerre, violenze e diverse forme di ingiustizia, e, soprattutto, da un movimento migratorio di popoli senza precedenti. «Il modo in cui affrontiamo tale fenomeno è una prova della nostra umanità, del nostro rispetto della dignità umana e, prima ancora, della nostra solidarietà con i fratelli e le sorelle nel bisogno». Ecco un altro monito all’Europa che pare aver perso la bussola dei valori e che tende ad un progressivo ed inarrestabile ripiegamento su se stessa.

 

Il viaggio di papa Francesco in questi tre Paesi dell’Africa mi è sembrata una grande lezione di coraggio, di valori e di dialogo al nostro vecchio continente. Quanto Francesco ha detto in quelle terre potrebbe essere una road-map per tutti i Paesi Europei ed i suoi cittadini. E questo parla di accoglienza, incontro, dialogo, fiducia.

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