Un Mediterraneo da favola
La letteratura per ragazzi e l’illustrazione per l’infanzia hanno una grande funzione nell’ambito delle relazioni interculturali, quale veicolo di idee nuove tese a valorizzare e sviluppare “le possibilità di incontro e conoscenze fra tradizioni culturali che legano da sempre l’immaginario dei popoli bagnati dal Mediterraneo”. È questa convinzione che ha spinto il gruppo napoletano “Leggermente” – che per l’Editrice Città Nuova realizza la collana per bambini e ragazzi “I colori del mondo” -, in collaborazione con “Oltre il Chiostro”, “Ko librì”, “La libreria dei ragazzi” di Napoli, il Centro Studi di letteratura giovanile A. Alberti di Trieste, il comune di Bordano (Udine), “Andersen, il Mondo dell’infanzia” di Genova, Graphic &Design di Salerno, a realizzare a Napoli il progetto Un Mediterraneo da favola – mare e culture: un susseguirsi di convegni coordinati da Donatella Trotta; e inoltre laboratori, mostre, una competizione velico- letteraria, che hanno coinvolto scuole, docenti, operatori culturali, scrittori e illustratori per l’infanzia. Abbiamo rivolto alcune domande a Livio Sossi, docente di Storia e Letteratura per l’infanzia dell’Università di Udine, che ha curato la mostra “Mare e culture” con 120 opere dei più importanti illustratori italiani. Prof. Sossi, come si costruisce, nell’uomo, l’immaginario? “Secondo Italo Calvino, vi sono due tipi di processi costitutivi dell’immaginario. Il primo parte dalla parola e arriva all’immagine visiva, il secondo parte dall’immagine visiva ed arriva all’espressione verbale. Immagini e storie, cinema e teatro contribuiscono dunque a formare il nostro immaginario. Storie e immagini diverse, frutto di diverse esperienze, determineranno forme diverse di immaginario “. Cosa s’intende per “immaginario mediterraneo”? “Il Mediterraneo è stato la culla di tante civiltà e profuma di storie. Sono storie narrate, parlate, sussurrate nelle notti di plenilunio, storie che artistiartigiani hanno saputo trasferire a volte nella pagina, mantenendo l’andamento proprio del narrare orale. Sono storie di pirati, di ricchi mercanti e di condottieri, di schiavi incatenati e di saggi pesci parlanti, storie di fate d’acqua e di sirene ammaliatrici… Ma è soprattutto l’incontro di culture, religioni e popoli diversi che qui, su questo mare, hanno imparato a convivere, rispettarsi e scambiarsi doni: la lingua, la scienza, i miti, le fiabe. Parlare di Mediterraneo significa testimoniare che la nostra è una società plurietnica e plurilinguistica, che le nostre appartenenze sono multiple e che l’identità di un popolo o di un gruppo etnico si struttura nel cambiamento”. Ma spesso si parla anche di confini linguistici e culturali. “Certamente, ma nel senso che essi esistono perché vengano continuamente attraversati. La cultura di un popolo si sviluppa attraverso lo scambio continuo con altre esperienze. Scientificamente si dice: per inter-fecondazione “. Lo stesso discorso vale per la persona, che è tale nella misura in cui sa porsi in dialogo con il diverso da sé. . . “Non può essere che così. Il mondo è fatto di varianti culturali, di differenze etniche e linguistiche. Scriveva Tzvetan Todorov: “Costruiamo noi stessi necessariamente dentro una determinata cultura. Ma ciò che ci distingue tutti e ci rende simili è la capacità di rifiutare questa determinazione. Dobbiamo accettare con consapevolezza – non subire – il cambiamento che mi deriva dalla mia storia di incontri con l’altro”. La riscoperta della nostra identità passa attraverso l’alterità”. E questo vale anche per il passato e per la memoria? “Sì, perché dobbiamo fare i conti con una pluralità di passati e con una molteplicità di memorie. In questo confronto il rischio sta nel fatto che un “passato” vale l’altro, per cui il pericolo più grande sta nel relativismo, nel consumismo di memorie, dimenticando che c’è una memoria lunga e una stretta o esclusiva”. Come educare i bambini ad affrontare questa dinamica? “Con i bambini dobbiamo porci sull’onda lunga della memoria, che contiene in sé una molteplicità di esperienze passate, adottando un preciso percorso didattico. Penso che il punto di partenza sia la propria identità. Chi sono io? Da dove vengo? Cercando però di evitare che questa coscienza di appartenere ad una cultura giunga all’esasperazione del nazionalismo, alla negazione di chi non appartiene al nostro gruppo. “Secondo punto: la presa di coscienza che diversità è connaturata all’umanità. “Diverso è bello”: potrebbe essere lo slogan. Terzo punto: sviluppare la coscienza che il nostro gruppo appartiene ad un gruppo più ampio, di cui tutti facciamo parte. Siamo prima napoletani, poi campani, poi italiani, poi europei, poi, senza retorica, cittadini del mondo. Il bambino deve prendere coscienza che siamo tutti uguali e contemporaneamente tutti diversi”. La letteratura per ragazzi che cosa può fare? “Ci sono molti libri che fanno conoscere ai bambini italiani il mondo delle altre culture, affrontando tematiche diverse quali il cibo, le feste, la religione. Ci sono poi favole o storie che aiutano a comprendere come nella diversità possiamo ritrovare l’uguaglianza. Scriveva Claudio Magris: “Tutta la storia umana nasce da una fusione di realtà che sembrano inconciliabili”. Vinicio Ongini dice che le fiabe sono migranti, attraversano secoli, continenti, classi sociali, linguaggi. Per questo si parla di universalità della fiaba. Ma esistono anche racconti e romanzi che dimostrano un modo comune di pensare e di comportarsi, di risolvere i problemi”. Nelle nostre classi, ormai, sono molti i bambini immigrati. “È un aspetto nuovo e di grande valenza ai fini della creazione di una cultura aperta all’accoglienza e alla diversità. Si tenga presente che lo straniero che vive in Italia riassume in sé varie componenti sociologiche: è una persona che viene da un altro posto, che cerca l’inserimento umano, culturale ed emotivo, è il segno delle diverse possibilità di essere, porta il proprio progetto di vita. Inoltre vive la dimensione della concretezza nei bisogni primari da soddisfare. Riassume in sé appartenenza e non appartenenza: viene da lontano ma non è più come quelli da cui è partito, vive l’esperienza della sospensione. Perché ci sia integrazione c’è necessità di testi bilingui e plurilingui dove chi scrive si metta dalla parte del bambino, con aperture problemiche, raccontando situazioni esperienziali. I libri devono far pensare, far riflettere”.