Un maxi decreto da 55 miliardi per un Paese che soffre

L’equivalente di due leggi finanziarie dei tempi normali. Interventi per imprese e famiglie da analizzare nel dettaglio, con l’occhio rivolto alla trattativa in Europa sul nostro debito che cresce
foto Presidenza del Consiglio

Il decreto “aprile” slittato di un mese e denominato “Rilancio” è, infine approdato, la sera del 13 maggio, dopo un periodo di gestazione inevitabilmente difficile. Ben 55 miliardi di euro che arrivano in un Paese dove, secondo i sondaggi, il 70% della popolazione teme l’involvere della crisi verso improvvise rivolte sociali.

La comparsa della tempesta del virus pandemico ha colpito chi già stava male, senza tutele effettive, assieme a interi comparti falcidiati, come il turismo e la ristorazione, che costituiscono una parte importante del Pil nazionale.

Nel racconto prevalente sui media è sembrato che l’ostacolo all’accordo nella maggioranza arrivasse dal contrasto sulla regolarizzazione dei cittadini stranieri presenti in Italia, molti dei quali impegnati nel settore agroindustriale e della cura alla persona (colf e badanti). Di fatto, i tecnici hanno dovuto lavorare duramente per attrezzare un testo di quasi 500 pagine, che impegna l’equivalente di due leggi finanziarie, sottomesso ad un controllo preventivo della ragioneria dello Stato.

Un testo complesso, che alcune meritorie associazioni, come la Lega delle Autonomie, hanno provveduto a rendere accessibile tramite schede comprensibili, scaricabili dal web e alle quali si rimanda.

Nella conferenza stampa serale, il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha detto che il decreto ha cercato di farsi carico della sofferenza che emerge dalla «fotografia dolorosa del Paese», ammettendo errori e ritardi a cui rimediare. Finora, infatti, molti lavoratori sono rimasti senza anticipo della cassa integrazione in deroga, le banche hanno avuto problemi a concedere prestiti a interessi zero alle piccole imprese nonostante la garanzia statale.

Con il bancomat azzerato è inevitabile veder crescere la fila al banco dei pegni, mentre nuovi inaspettati utenti si affacciano nella distribuzione dei pasti alle Caritas, rimaste aperte nel pieno della paura del contagio. Condizioni che spalancano le porte all’economia criminale.

Il governo non solo deve farsi carico di queste esigenze immediate, ma è chiamato a fare scelte di vera e proprio ripresa. Il fabbisogno di un intervento complessivo stimabile sui 160 miliardi di euro, dei quali 75 definiti tra il decreto Cura Italia e questo del Rilancio. Investimenti prefigurati per il loro effetto moltiplicativo nel ciclo economico complessivo.

L’analisi globale, e nelle singole parti, del decreto permetterà di comprendere l’incidenza reale ed efficace delle scelte operate. Ma alcuni esempi sono indicativi. Come quello del fronte sanitario, dove, rimediando ad una carenza maturata negli ultimi anni, «sono stanziati complessivamente, per il solo 2020, oltre 3 miliardi e 200 milioni di euro» che serviranno per «il  potenziamento e la riorganizzazione della rete ospedaliera, di quella assistenziale e dell’attività di sorveglianza attiva».

Il ministro della Sanità ha parlato del permanere del pericolo reale di un contagio di ritorno, ma l’emergenza ha reso evidente la necessità di ripristinare in maniera stabile l’incremento di 3.500 posti letto in terapia intensiva. Sono previste migliaia di assunzioni, anche per il servizio territoriale dell’infermiere di comunità.

Non solo “prestiti” ma un vero e proprio contributo a fondo perduto è previsto «a favore dei soggetti esercenti attività d’impresa e di lavoro autonomo, titolari di partita IVA, comprese le imprese esercenti attività agricola o commerciale, anche se svolte in forma di impresa cooperativa, con fatturato nell’ultimo periodo d’imposta inferiore a 5 milioni di euro».

Il ricorso alla cassa integrazione, prevedendo modalità più veloci di erogazione ai lavoratori, viene rifinanziato con 10 miliardi di euro, mente 4 miliardi sono destinati ai bonus per un’ampia categoria di lavoratori autonomi.

Sempre come esempio, non è previsto il semplice  “rinvio” ma una vera e propria “esenzione” dal «versamento del saldo dell’IRAP dovuta per il 2019 e della prima rata, pari al 40 per cento, dell’acconto dell’IRAP dovuta per il 2020 per le imprese con un volume di ricavi compresi tra 0 e 250 milioni e i lavoratori autonomi con un corrispondente volume di compensi».

Un tipico esempio di misura pensata per essere moltiplicatrice di risorse è quella che prevede «la detrazione nella misura del 110 per cento delle spese sostenute tra il 1° luglio 2020 e il 31 dicembre 2021 per specifici interventi volti ad incrementare l’efficienza energetica degli edifici (ecobonus), la riduzione del rischio sismico (sismabonus) e per interventi ad essi connessi relativi all’installazione di impianti fotovoltaici e colonnine per la ricarica di veicoli elettrici».

Complessivamente Conte parla di interventi a favore di imprese e famiglie, ma la prima reazione di Gigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari, è decisamente negativa («nessun investimento sulle famiglie con figli»), confidando nelle correzioni che potrà apportare il Parlamento in sede di conversione in legge.

Ad un certo momento è sembrato, infatti, che, secondo le aperture del ministro della Famiglia Bonetti, potesse emergere una prima introduzione dell’assegno universale per i figli, limitandolo per il momento a quelli fino a 14 anni di età. Ma si tratta di una riforma strutturale che non sembra potersi introdurre in un testo definito nel suo equilibrio. Per il momento il governo ha previsto il reddito di emergenza per i soggetti senza tutele, voucher baby sitter, congedi parentali e agevolazioni nella conciliazione dei tempi di lavoro.

Si è invece commossa la ministra delle politiche agricole Teresa Bellanova nel voler «sottolineare un punto per me fondamentale, l’emersione dei rapporti di lavoro. Da oggi gli invisibili saranno meno invisibili». Il decreto, infatti, prevede, a certe condizioni, che i cittadini stranieri possano chiedere un permesso di soggiorno temporaneo di 6 mesi per svolgere lavori nel settore agricolo e in quello della collaborazione domestica.

Si dichiara soddisfatta la maggior parte delle associazioni che si battono per i diritti dei migranti, ma la Coldiretti afferma che si tratta di una misura che non risponde alle esigenze immediate delle campagne (“per la regolarizzazione ci vorrà tempo”). La storica associazione degli agricoltori ribadisce la necessità di inserire il voucher per il lavoro dei campi, ma soprattutto di stabilire accordi bilaterali con la Romania per agevolare l’arrivo di persone esperte del settore che non richiede improvvisazione o solo attività di manovalanza.

Ad ogni modo, mentre a Roma si dibatte, il problema incombente resta il nodo del finanziamento di una manovra “a debito” che dipende dalla continuità dell’acquisto indiretto dei nostri titoli da parte della Banca centrale europea. Un’operazione messa in dubbio da una recente sentenza della Corte costituzionale tedesca che chiede alla Bce di dimostrare la congruità di un intervento che non può estendersi oltre il periodo straordinario di emergenza da pandemia. Estremizzando a suo modo, Alberto Forchielli su Il Sole 24 ore parla di una situazione prefallimentare.

Ma è chiaro che un intervento di lunga durata, capace cioè non di tamponare le falle, ma di rilanciare il Paese, “non lasciando indietro nessuno”, ha bisogno di tempi adeguati per essere efficace.

Ed è perciò necessario affrontare il dibattito sul contenuto di questo decreto nel contesto di una trattativa a livello europeo dalla quale dipende, in gran parte, il nostro destino.

 

 

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