Un manifesto per la felicità

Una proposta per orientare lo sviluppo verso la persona. A proposito del testo dell'economista Stefano Bartolini.

Permettetemi di iniziare con uno spot pubblicitario. Prima scena. Un uomo attende in un’utilitaria. Seconda scena. Gli si affianca, ferma al semaforo, una superauto in cui siede un uomo d’affari attorniato dai collaboratori. Arriva una telefonata. L’uomo si scusa: «Caro, non ho tempo di accompagnarlo alla partita». La superauto riparte. Terza scena. Sull’utilitaria sale una bambina: «Papà, per fortuna che ci sei tu che mi accompagni al saggio di danza». Una voce fuori campo sottolinea: «Il tuo tempo, i tuoi amori… la tua vita».

 

«Giusto!», verrebbe da dire. «Peccato però che un messaggio come questo nessuna impresa lo pagherà mai», commenta l’ideatore dello spot e autore del libro che lo propone. «Stiamo attenti – prosegue – a non ripetere l’esperienza particolarmente negativa degli Stati Uniti, dove il maggior benessere di cui i cittadini avrebbero potuto godere grazie alla crescente disponibilità di beni è stato vanificato, bruciato, dalla riduzione del tempo libero e dall’impoverimento delle relazioni». Con il risultato che a metà di questo decennio, dopo trent’anni di rapida crescita economica, in media la ‘felicità’ degli americani era più bassa che nel 1972.

 

Il prof. Bartolini, docente a Siena, autore di vari lavori scientifici pubblicati su affermate riviste internazionali, ha iniziato a studiare le contraddizioni della crescita economica più di vent’anni fa. La prima che gli era balzata agli occhi riguarda l’ambiente naturale: se lo sviluppo delle attività produttive impedisce di godere di beni comuni e gratuiti – come la possibilità di bagnarsi in un corso d’acqua pulito, passeggiare in mezzo al verde o respirare aria pulita – quale via d’uscita individuale ci rimane? Prenderci una vacanza in un luogo incontaminato, o magari installare dei filtri per l’aria: tutte cose private e costose. In altre parole, reagiamo chiedendo al sistema produttivo un’ulteriore quantità di beni in senso convenzionale (mezzi di trasporto, strade, impianti di condizionamento…), il che danneggerà ancora di più l’ambiente, e così via in un circolo vizioso di arricchimento solo apparente.

 

Tuttavia, il caso dei beni ambientali non è quello che più lo interessa in questo libro, il cui significativo sottotitolo è «come passare dalla società del ben-avere a quella del ben-essere».[1] I dati statistici di cui fa ampio uso nelle sue ricerche lo hanno via via convinto che, ancora più importante per il benessere, è un altro tipo di ambiente, quello sociale, e, collegati ad esso, un altro tipo di ‘beni’, quelli che si generano nelle reti di relazioni interpersonali (familiari, di vicinato, amicali, associative…) e che per questo vanno sotto il nome di ‘beni relazionali’: affetto, rispetto, considerazione, compagnia, senso di appartenenza…

 

Il circolo vizioso di cui parlavamo è all’opera anche con questi beni: se il tempo e le energie, sia nostre che altrui, sono sempre più assorbite dalle attività produttive e di consumo (che pure richiedono tempo), impoverendo le opportunità di relazione, la reazione più spontanea è di rivolgerci alle infinite possibilità di svago fornite dai canali satellitari; se i bambini non hanno la possibilità di giocare liberamente in strada come era possibile fare fino a non molti anni fa, si cerca di compensare con videogiochi e attività organizzate che richiedono una maggiore quantità di beni di tipo convenzionale; se non ci si fida più gli uni degli altri si fa ricorso a vigilantes, sistemi di allarme, porte blindate….  

 

Dobbiamo allora tornare al ‘buon mondo antico’ e rigettare lo sviluppo? «Niente affatto!» – afferma il prof. Bartolini, con la sua fluida parlata toscana. «Lo sviluppo va riorientato, per far sì che serva davvero le esigenze dei cittadini, e in questo libro ho provato a mostrare come». In effetti, bisogna dargli il merito di non essersi fermato alle critiche, ma di aver destinato quasi una metà del libro ad elaborare una lista di “politiche per la felicità” che toccano l’urbanistica, la scuola, la salute, gli ambienti di lavoro, i meccanismi politici. Lo spot iniziale ci lascia intuire che nella lista non è dimenticata la pubblicità, che alcuni paesi del Nord Europa hanno iniziato seriamente a regolamentare, iniziando dai programmi rivolti ai bambini. E non manca anche una riflessione sull’importanza di un cambiamento culturale, che ridimensioni il valore assoluto fin qui assegnato alla crescita economica, riportandola al ruolo di strumento al servizio del ben-essere dei singoli e della società: al servizio, secondo una felice espressione riproposta da Martha Nussbaum, della nostra ‘fioritura umana’.



[1] Donzelli Editore, Roma, 2010, 305 pp.

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