Un luogo dove si impara a volare, insieme

I racconti dei ragazzi che hanno cominciato una seconda vita nel Centro Accoglienza Minori di Arezzo

Se gli chiedi di descrivere l’esperienza che hanno condiviso durante questi quasi trent’anni di vita associativa, loro ti rispondo che è stata simile al volo di uno stormo di oche. Quel volo a “V”, per cui il battito d’ali di ciascun uccello favorisce il volo dell’altro, vincendo più facilmente la resistenza dell’aria fino alla comune mèta, perché viaggiano ognuno contando sulla spinta dell’altro.

Lia, Renata e Rosanna, sono solo alcune delle colonne dell’associazione “Famiglia Insieme”, nata nel 1989, ad Arezzo, con il fine, come si legge nel loro statuto, di «prestare particolare attenzione alle problematiche delle famiglie, alla tutela dei minori, all’affidamento familiare». Associazione che ha dato origine, nel dialogo con le strutture pubbliche e gli enti locali, anche all’esperienza del Centro Accoglienza Minori (Cam).

«Il progetto prevedeva la presenza di una famiglia stabile e volontaria che creasse attorno ai minori il calore di una casa – mi racconta Rosanna –. L’incarico di concretizzare il progetto fu proposto alle famiglie del Movimento dei Focolari. Questo perché i responsabili del servizio socio sanitario erano rimasti colpiti dal modo con cui era stato affrontato l’affido di un bambino con gravi disabilità. Si erano resi conto che la famiglia affidataria non agiva da sola, ma all’interno di una più vasta rete di famiglie».

Ascolto Rosanna con ammirazione, perché so che l’esperienza che mi sta raccontando, anche se parla in terza persona, è personale, quella sperimentata tanti anni prima da lei e dalla sua famiglia. «Fu così che un gruppo di dieci persone, per lo più famiglie, diverse per provenienza, cultura e credo religioso, fondarono l’Associazione Famiglia Insieme – continua Rosanna –, e vollero inserire nello statuto i termini “apolitico” e “aconfessionale”, perché ognuna vedeva nella diversità un valore, un’opportunità, un patrimonio di possibile fratellanza».

Tra le mete che questo gruppo di pionieri si propose, c’era quello di dare una casa e una famiglia a tutti i bambini che sarebbero passati dal Cam. Sulla famiglia e la genitorialità sarebbe stato centrato anche il modello educativo, attuato in collaborazione con educatori, psicologi e tanti volontari.

«All’inizio – prende la parola Lia – arrivavano tanti ragazzi in fuga, non solo migranti, anche italiani. Poi le esigenze sociali sono mutate e, da centro di pronta accoglienza, il Cam si è trasformato in una casa per i tanti minori provenienti dal territorio, temporaneamente allontanati dalle famiglie di appartenenza. Nell’appartamento, possono essere ospitati fino ad otto bambini. Dal 1989 ad oggi, sono più di 400 i minori che hanno potuto sperimentare qui la vita di una vera famiglia».

Renata è arrivata al nostro appuntamento con due plichi di fogli, ricchi delle testimonianze di tanti bambini che, negli anni, hanno vissuto nel Centro. Me ne mostra alcune. La prima che mi colpisce è quella scritta da un ragazzo senza firma: «Quello che ho imparato su di me, sulle mie capacità, l’ho imparato al centro. Io ero convinto di non valere niente, di non poter combinare niente di buono. Vivere qui è stato come nascere una seconda volta».

Qualche pagina dopo, Giusy, oggi adulta e laureata, scrive che vivere nel Centro Accoglienza Minori è stato come cominciare una seconda vita: «Se penso alla mia vita, credo fermamente di essere nata due volte. La prima da mia mamma, la seconda, dopo la sua morte, quando sono arrivata al centro». Ma queste tre colonne del Centro Accoglienza Minori non mi sono venute a trovare solo per raccontare questa bella storia di accoglienza.

«Ora, devi capire, che tutto questo non sarebbe stato possibile senza le famiglie che in questi anni hanno scelto di donare un pezzo della loro vita ai nostri ragazzi. Le famiglie che hanno abitato con loro e che li hanno cresciuti come loro figli», incalza Lia. È questo il punto: oggi il Centro non riesce a trovare una famiglia che possa sostituire l’attuale, che ha bisogno di lasciare per motivi personali.

«La nostra preoccupazione è per i bambini – spiega Renata –, che vengono già da situazioni drammatiche, e hanno tanto bisogno di stabilità, di rapporti con adulti significativi e vitali, per recuperare il rispetto di sé e la fiducia nella vita». Forse volare insieme significa anche questo: mantenere accesa la speranza di raggiungere la mèta, per dare un lieto fine a questa lunga storia condivisa.

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