Un Libro ci salverà

Protagonista dell’ultimo toccante romanzo di Antonia Arslan è il più grande manoscritto miniato armeno.
Antonia Arslan

Una signora mite e gentile che narra di cose terribili: così m’appare Antonia Arslan, che più di altri, con i suoi romanzi La masseria delle allodole e La strada di Smirne, ha fatto conoscere in Italia il genocidio armeno. Ma anche quando ne parla, lo fa con toni pacati, mettendo in luce i gesti di umana solidarietà da qualunque parte essi provengano, convinta che il male non ha l’ultima parola. Se di qualcosa si vanta l’Arslan, nelle cui vene scorre sangue armeno, è «di non avere mai usato nei miei libri una parola di odio, provando piuttosto pietà verso chi s’è macchiato di orrendi massacri».
A questa tragedia la scrittrice padovana è tornata a ispirarsi con Il Libro di Mush (Skira Ed.). È la vicenda avventurosa, ma con un nucleo storico, di come sia scampato alla distruzione il più grande manoscritto armeno esistente: un omiliario miniato del 1202, oggi custodito nella famosa biblioteca Matenadaram di Yerevan. Questo libro grandioso (alto quasi un metro, pesa ventotto chili) passa di mano in mano finché viene acquisito dal monastero dei Santi Apostoli nell’alta valle di Mush. Ma quando in quel sito infuria la persecuzione del 1915 (circa centomila le vittime), il prezioso manoscritto viene raccolto fra le rovine del monastero da due donne anonime che lo portano in salvo, dividendolo in due. Solo negli anni Venti il Libro sarà ricomposto.
 
«Prima di darsi alla fuga queste sopravvissute alla strage, che ho chiamato Anoush e Kohar, nel villaggio distrutto trovano ancora vivo un piccolo orfano, il quale si affeziona spasmodicamente ad Anoush. Anche lui è una figura reale: ho avuto modo di conoscere una sua nipote emigrata in California».
Ai tre si uniscono Makarios ed Eleni, due greci di Paros. Grazie anche a loro quel Libro dai colori risplendenti, ricoperto da caratteri simili ad un ricamo, imboccherà la via della salvezza. Tanti sacrifici e pericoli affrontati per esso si spiegano con l’importanza che ha il libro sacro per il popolo armeno. Ecco perché, fra tanta insensata distruzione, il ritrovamento dell’omiliario di Mush sembra un segno del cielo a Kohar, che dice ispirata: «Il Libro ci salverà». Proteggendo da ogni insulto e profanazione quello che è divenuto quasi il loro talismano, salveranno anche sé stessi.
Sesto fra i cinque, di quando in quando un “Angelo muto” sembra confermare con la sua assistenza quella che appare una missione assegnata dall’alto. Ma potrebbe rappresentare anche la partecipazione dell’autrice stessa, un po’ come certi pittori del passato che amavano raffigurarsi nelle grandi composizioni sacre.
Piena di suspense, la fuga si arricchisce di un altro personaggio: è Zacharias, il vecchio armeno a cui è stata mozzata la lingua, quasi personificazione in carne ed ossa dell’Angelo muto: esperto di strade, saprà infatti guidare fino al confine con la Russia gli umili eroi di questa storia tutto sommato a lieto fine.
 
Sì, perché – conclude l’Arslan – «in mezzo al disastro e alla perdita, ecco brillare i Libri salvati. Per vie misteriose e segrete, attraversando pena e fatica, come un rivolo d’oro i manoscritti con le belle rilegature, le scintillanti miniature con i loro piccoli mondi colorati, le cornici di palmette, croci e melograni, hanno attraversato quest’ultimo oceano di dolore e sono sopravvissuti, portati in rifugi sicuri dalle ruvide mani piagate di tutte quelle madri dolorose che passo dopo passo hanno raggiunto i remoti monasteri del Caucaso, le chiese di cristallo che tanto incantarono i viaggiatori, e infine Etchmiadzin, centro di tutta la spiritualità armena, il Luogo Sacro dove discese l’Unigenito e dove sta il katholikos, il patriarca supremo. Se di questa antichissima civiltà oggi conosciamo gli splendori medievali, lo dobbiamo anche alla silenziosa passione di queste donne coraggiose e indomabili, che avevano perso tutto, ma non l’amore per il loro grande passato».

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