Un laboratorio d’arte nel quartiere di Pasolini
Cinque mesi, diciotto incontri, quattrocentoventi bambini, otto operatori, cinque stazioni del treno, quattro fermate di metropolitana, nove pagine di copione, venticinquemila battute spazi esclusi, ottocentoquarantaocchi, altrettante orecchie e mani. Numerabili.
Impegno, passione, energia, immaginazione, competenza, intelligenza, stanchezza, emozione, paura, risolutezza, coraggio, fiducia, ascolto. Non numerabili.
Un confine sottile, tagliato di netto, come un orizzonte libero. La terra di mezzo tra il dato oggettivo, matematico, assoluto e l’imponderabile, l’aleatorio.
Roma. Pietralata è il quartiere di pasoliniana memoria nella periferia est di Roma, un crocevia di storie, un brulichio di vite che si snodano e s’intrecciano intorno ai luoghi del quotidiano. La scuola, fra tutti, è lo specchio di una microsocietà che s’incontra e costruisce la propria identità. Spalancare le porte dell’Istituto Comprensivo Giorgio Perlasca con il progetto Approccio alla scena ha significato quindi entrare in una comunità, porsi in stretta relazione con il numerabile, organizzarlo, gestirlo, ma soprattutto immergersi nel non numerabile, affrontarlo, viverlo. E come sempre, per un inevitabile paradosso, ciò che conta è ciò che non può essere contato. È quel non numerabile che si trasforma in cifra e valore di un’esperienza.
Il progetto ideato e promosso dall’Associazione Culturale Artèteca Associazione che da anni lavora sul territorio Nazionale con progetti finalizzati alla diffusione e all’apprendimento della arti, con la direzione artistica di Maria Gabriella Marino, si è prefissato l’obiettivo di guidare un numero considerevole di bambini e ragazzi dell’Istituto Perlasca attraverso un percorso di scoperta delle arti della scena: la musica, il teatro e la scenografia. L’impresa è subito apparsa ardua: la scarsa familiarità delle nuove generazioni con forme espressive analogiche e l’assuefazione ai modelli imposti dalla televisione e dalla comunicazione di massa; le difficoltà legate alla realtà del territorio che inevitabilmente hanno trovato eco nelle aule della scuola sottoforma di disagio, rabbia, rifiuto, sospetto; il poco, pochissimo tempo. Ma la complessità del contesto e la quasi totale assenza di una garanzia di successo hanno acceso gli animi fungendo da traino motore.
E così, in una fredda mattina di gennaio, è iniziata la difficile e bella avventura del laboratorio per Gabry, Elena, Dedè, Roberto, Edoardo, Matteo, Alessio e Francesca. Durante la primissima fase, gli incontri hanno avuto il solo scopo di conoscere i ragazzi e i bambini attraverso una serie di esercizi teatrali e musicali mirati all’ascolto, alla scoperta, all’apertura. Lentamente, ma con un’evidenza disarmante, apparivano sempre più chiari i profili di questi fragili e al contempo fortissimi esseri umani. Come chi dopo la luce abbacinante di uno spazio aperto entra in una stanza e inizialmente ha la sensazione di non vedere nulla, così il buio a mano a mano si è fatto più morbido, meno violento, e hanno iniziato a delinearsi le storie, le vite, le identità. Ognuno di quei quattrocentoventi bambini si allontanava sempre di più dal suo essere numero, avvicinandosi con coraggiosa costanza a divenire sorriso, voce, sguardo.
Nella seconda fase gli incontri del laboratorio hanno iniziato a convergere intorno all’idea di costruire un grande evento finale, un’open class aperta al pubblico, non solo utile a mostrare il lavoro e a restituire il senso del percorso fatto insieme, ma fondamentale anche per costruire la coscienza collettiva di una nuova comunità nella quale può e deve trovare il suo giusto posto anche l’arte, in tutte le sue forme, come veicolo di condivisione di valori e ipotesi. In direzione di questa grande festa dell’arte, i bambini e i ragazzi sono stati coinvolti nell’ideazione di quadri teatrali e musicali intorno al tema del conflitto e della pace.
Ognuno ha potuto prendere parte alla realizzazione della messa in scena cantando, recitando o costruendo le scenografie. Ognuno mettendo in gioco le proprie fragilità, le forze nascoste, le strategie e le risorse. Ognuno svelando la curiosità e l entusiasmo molto spesso sepolti dagli ingranaggi del quotidiano, dalle difficoltà dell’integrazione o più tristemente dalla malattia. Il piccolo Leonardo, bambino affetto da una grave malattia degenerativa che ha stupito tutti con la sua determinazione e con il suo talento e che poco prima di entrare in scena era travolto da un’emozione così sincera da commuovere. Oppure Angelica, la bambina moldava arrivata in Italia da pochi mesi, che ha cantato, in italiano, un brano particolarmente complesso con una leggerezza e una spontaneità da proteggere e salvaguardare. Due esempi di incredibile bellezza che soli bastano a dare valore al progetto Approccio alla scena.
Una imponente macchina di spettacolo esplosa negli ultimi giorni di scuola, esito sì di un laboratorio, ma anche la tappa di un percorso tutto in salita, che chiede con forza di essere raccontato. Ancora e magari in altre scuole.