Un invito inatteso

Nel corso del suo viaggio in Terra Santa, Francesco invoca più volte una convivenza pacifica tra israeliani e palestinesi. Entrambi i popoli hanno diritto ad una patria e alla piena libertà religiosa. E per questo rivolge un inaspettato invito al palestinese Abbas e all’israeliano Peres. Come racconta Paolo Lòriga in Francesco e Gerusalemme (Città Nuova, 2014)
Francesco e Gerusalemme

La libertà religiosa è un tema cruciale per Francesco. «Il rispetto di questo fondamentale diritto umano è una delle con­dizioni irrinunciabili della pace, della fratellanza e dell’armonia; dice al mondo che è doveroso e possibile trovare un buon accor­do tra culture e religioni differenti; testimonia che le cose che abbiamo in comune sono così tante e importanti che è possibi­le individuare una via di convivenza serena, ordinata e pacifica, nell’accoglienza delle differenze e nella gioia di essere fratelli perché figli di un unico Dio».

Con ragione e con soddisfazione può perciò fare riferimento «all’attiva comunità cristiana, che of­fre il suo significativo contributo al bene comune della società e che partecipa alle gioie e alle sofferenze di tutto il popolo». Una presenza che si fa conferma: «I cristiani intendono continuare a svolgere questo loro ruolo come cittadini a pieno diritto, insieme con gli altri concittadini considerati come fratelli».

A Peres e Netanyahu, durante la cerimonia di benvenuto all’aeroporto di Tel Aviv, Bergoglio replica partendo da lontano.

Fa il punto sulle relazioni tra i due Paesi. Negli ultimi cinquant’anni, sottolinea, «sono cambiate molte cose tra la Santa Sede e lo Stato di Israele: le relazioni diplomatiche, che ormai da un ventennio esistono tra noi, hanno favorito l’accrescersi di rapporti buoni e cordiali, come testimoniano i due accordi già firmati e ratificati e quello in via di perfezionamento». Ma ecco che si avvicina all’ob­biettivo, manifestando l’auspicio «che questa Terra benedetta sia un luogo in cui non vi sia alcuno spazio per chi, strumentaliz­zando ed esasperando il valore della propria appartenenza reli­giosa, diventa intollerante e violento verso quella altrui». Se non bastasse, rafforza il concetto, spiegando che «Gerusalemme, città di valore universale, significa “città della pace”» e afferma: «Così la vuole Dio e così desiderano che sia tutti gli uomini di buona vo­lontà».

Richiama pertanto «quanti sono investiti di responsabilità a non lasciare nulla di intentato per la ricerca di soluzioni eque alle complesse difficoltà, così che israeliani e palestinesi possano vivere in pace». Allo stesso tempo fa presente la necessità di «in­traprendere sempre con coraggio e senza stancarsi la via del dia­logo, della riconciliazione e della pace. Non ce n’è un’altra». Pro­prio così, e la storia tra i due popoli lo dimostra. Ed ecco giungere la proposta del pellegrino di Roma, facendo tesoro dell’appello che da questo luogo pronunciò Benedetto XVI nel 2009. Due i punti: «Sia universalmente riconosciuto che lo Stato d’Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini in­ternazionalmente riconosciuti». Nell’identica logica: «Sia ugual­mente riconosciuto che il popolo palestinese ha il diritto ad una patria sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente». Conclusione: «La “soluzione di due Stati” diventi realtà e non rimanga un sogno».

Francesco parla invece italiano anche durante la messa a Be­tlemme, celebrata nella piazza della Mangiatoia, dopo l’incontro con il presidente Abbas. Parte, così, dal settore dei sacerdoti, in grado di capire la lingua del Bel Paese, un grido di esultanza ap­pena il papa, al termine della recita del Regina Coeli, lancia con voce sommessa la novità che tutti bramavano. «In questo luogo, dove è nato il Principe della pace, desidero rivolgere un invito al signor presidente palestinese Mahmoud Abbas e al signor presidente israeliano Shimon Peres ad elevare insieme con me un’intensa preghiera, invocando da Dio il dono della pace». Con concretezza, precisa il luogo: «Offro la mia casa in Vaticano per ospitare questo incontro di preghiera». La folla, ancora assiepata al termine della messa, libera un applauso vigoroso, appena ascol­tata la traduzione in arabo della sorprendente proposta. Poi si fa silenzio per ascoltare di nuovo il papa. «Tutti desideriamo la pace; tante persone la costruiscono ogni giorno con piccoli gesti; molti soffrono e sopportano pazientemente la fatica di tanti tentativi per costruirla». Infine, un appello che suona come un monito ai leader israeliani e palestinesi: «Tutti – specialmente coloro che sono posti al servizio dei propri popoli – abbiamo il dovere di far­ci strumenti e costruttori di pace, prima di tutto nella preghiera».

Da Paolo Lòriga, Francesco e Gerusalemme, sfida religiosa e politica (Città Nuova, 2014)

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