Un incontro
Ho incontrato Mario Luzi nel 1990 a Procida, dove era giunto per ricevere un premio per il libro Frasi ed incisi di un canto salutare. Avevo già letto e recensito alcuni suoi libri e grazie a questi lavori era nato uno scambio epistolare e mi aveva donato un suo giudizio critico su alcune mie poesie. Il sapere che sarebbe giunto nella mia isola mi riempì di gioia. Lo attesi al porto in quel lontano pomeriggio di settembre insieme all’architetto Giancarlo Cosenza, amico comune. Lo accompagnammo in albergo e più tardi alla scoperta dell’isola sconosciuta. Immersi nel sole e abbagliati dall’azzurro mare nella luce calda del sole morente, Luzi rimasse estasiato e silenzioso. Lontana da voci e da profanatori, l’isola gli apparve bellissima e straordinaria. Seguirono due giorni accanto alla sua presenza discreta e attenta. Il suo chiedermi ogni volta che ci ritrovavamo Sta bene? era denso di umanità. Scoprivo, poi, nell’essenzialità della sua comunicazione, il valore della parola, delle parole. Insieme visitammo Marina Corricella e il centro storico di Terra Murata e gli scattai alcune foto. In spazi così ristretti scenari di infinita bellezza!, così disse dalla terrazza dell’abbazia di San Michele di fronte al golfo di Napoli. Ci appartammo poi in un cortile pieno di luce, nella casa dei miei avi situata accanto all’abbazia, e potei rivolgergli qualche domanda sulla sua poesia e sulla sua vita. Senza riserve, mi aprì la voragine della sua anima, la sua visione dell’esistenza, dei rapporti umani, dell’universo di cui aveva scandagliato le vette e gli abissi. Conobbe la mia famiglia, vide i miei quadri e ne scelse uno dove dominava il giallo chiaro: È così pieno di luce! commentò. Nel giorno della partenza lo accompagnai fino a Napoli. Mi parlò della sua esperienza vissuta nella cittadella di Loppiano in Incisa Valdarno e prima di lasciarci così scrisse sulla prima pagina del libro Trame: A P.L. in ricordo di giorni procidani magnifici, con amicizia. Da quella volta il nostro rapporto non si interruppe più: una telefonata, una lettera o una cartolina. Un giorno mi annunziò che sarebbe stato di passaggio a Napoli per alcuni interventi all’Università. Potevamo incontrarci. Fu un pomeriggio ricco di emozioni. Seduti in un bar di via Carducci, sorseggiando un tè, volle che leggessimo insieme alcune mie poesie. Aveva qualcosa da dirmi: una preposizione da correggere, una parola da sostituire, un verbo di troppo. Mi accompagnò, poi, fino al porticciolo di Mergellina ed aspettò sulla banchina che l’aliscafo prendesse il via. È l’ultima sua immagine che conservo. Stordito e felice per quelle ore trascorse con lui, riguardavo, in quel viaggio di ritorno, le poesie esaminate insieme. Mi soffermai sull’ultima correzione alla poesia dedicata a mio padre morto: Sotto l’albero/ di mandarino/ sedevi/ e ci guardavi/ nel silenzio/ della tua vita. Sentivo la sua voce che diceva : Forse è meglio dal silenzio, non ti pare?. Gli avevo detto di sì, forse senza capirne la motivazione. Ma oggi che lui ci ha lasciati, rileggendo quei versi, ho compreso appieno il senso di quella correzione. Può esserci un silenzio muto che ci restringe e ci immobilizza, ma lui preferiva un silenzio vivo, aperto alla conoscenza e ad un rapporto vitale tra le creature, un silenzio che potesse continuare a dire anche dopo la morte.