Un imprenditore controcorrente
Si può essere cristiani e lavorare nel business anche nella Mongolia interna. Rischiando. Una testimonianza.
GHB è imprenditore, nella città di Baotou, nella Mongolia interna cinese. Nella sua fabbrica di prodotti per l’infanzia lavorano circa 1.600 persone. GHB è cristiano e cinese, crede al bene della nazione e dei cattolici. Il che non è una contraddizione. Ecco il suo “vocabolario”.
Amore. «Cosa posso fare per la Cina? Debbo mettere lo spirito autentico di imprenditore al servizio del Paese. Se siamo figli di Dio, ogni volta che facciamo qualcosa dobbiamo testimoniarlo, in modo che gli altri ci riconoscano proprio come tali. Qualsiasi cosa faccia debbo mostrare quello in cui credo».
Corruzione. «La corruzione è una malattia del corpo sociale, un cancro dell’economia. Una ditta corrotta è destinata a morire. La corruzione si intrufola nelle pieghe dell’azienda soprattutto dal lato degli acquisti: si compra a un prezzo non reale e ci si guadagna personalmente, non per la ditta. Io spiego a tutti i miei fornitori che non accetto tali pratiche che rovinano le aziende, quella mia ma anche quella loro. Quando mi offrono dei regali, siccome non possono darmi soldi, mi danno vino, cibo o vettovaglie varie; ma io dico ai fornitori che li accetto per consumarli con gli operai».
Cristianesimo. «Posso essere cristiano e imprenditore qui in Cina? Debbo avere lo spirito del cristiano e viverlo da imprenditore. Attraverso la mia gestione e la mia amministrazione debbo esprime una cultura profondamente cristiana. Posso almeno cercare di farlo».
Cuore. «Se riesco a trasfondere lo spirito di famiglia nell’azienda, ecco che le cose cambiano, il sistema diventa armonico. E ciò avviene quando cambia il cuore».
Famiglia. «Debbo considerare sempre che io ho due famiglie: quella naturale e quella più allargata della mia azienda. Debbo trattare le persone nelle due famiglie allo stesso modo. Nessuno nella mia fabbrica ha un impiego perché è mio parente. Impiego le persone solo se sanno svolgere il loro compito».
Giudizi. «La guida nella mia vita di imprenditore è la Bibbia. Il Vangelo dice di non giudicare, ma ogni tanto ascolto persone che lo fanno. Reagisco dicendo a chi giudica: “Aspetta, non affermare cose di cui non sei certo, verifichiamo, rispettiamo la dignità di ognuno. E anche se quella persona ha sbagliato, può essere che lo abbia fatto quasi per sbaglio, o non lo rifarà più”».
Giustizia. «Come imprenditore opero una ridistribuzione dei beni di Dio. Attraverso il lavoro che offro ai miei operai entro nella loro vita. Ma in che modo lo faccio? Quando consegno loro lo stipendio per il lavoro che hanno svolto debbo dar loro una gioia, non una tristezza».
Produzione. «I nostri salari sono in media una volta e mezzo quelli dei concorrenti della mia regione, forse anche il doppio. In genere nelle mie fabbriche si lavora un paio d’ore in meno che dai concorrenti; ci avviciniamo alle otto ore».
Profitto. «Sviluppo armonico vuol dire che tutti quelli che partecipano ad un’attività portano il loro contributo. In un contratto si pensa che il profitto debba andare solo alle parti contraenti. Non è così. Debbono trarne profitto il governo, il consumatore, i lavoratori, i fornitori, e via dicendo. Se la mia ditta riesce a raggiungere tutti questi obiettivi, si può parlare di sviluppo armonico. E tutti sosterranno l’imprenditore anche in situazioni difficili».
Sogno. «Soffro perché mi sembra che la Cina manchi di ordine, mentre ha bisogno di uno sviluppo veramente armonico. Ha bisogno di leggi che regolino la sua economia, di un’etica economica. Sogno di cambiare qualcosa. Per arrivare ad una visione armoniosa della società servono regole condivise. Tutti debbono lavorare nel rispetto dei concorrenti, dell’ambiente, dello Stato. Le abitudini cinesi debbono cambiare».
Soldi. «In Europa pensano che i cinesi si interessino solo ai soldi? Io ho superato questa idea. Il progresso deve portare a uno sviluppo integrale dell’uomo. Se l’operaio non migliora la qualità della sua vita, a nulla serve quello che faccio. Lo sviluppo anche economico deve portare a una maggiore qualità della vita».
Vita. «Dio ha lavorato sei giorni e il settimo si è riposato. Qui in Cina si lavora sette giorni su sette, mentre si deve sviluppare armoniosamente la persona umana. Così ogni tanto, nell’orario di lavoro, con gli operai vediamo ad esempio un film assieme. I giovani cinesi spesso non sanno nemmeno cosa sia la vita: hanno solo il lavoro e i soldi. Nelle mie aziende cerco di far capire che c’è altro».