Un nuovo governo in Italia

M5S assieme a Pd e Leu. Nodi da sciogliere e grandi attese. Una prima analisi

L’Italia ha vissuto un drastico cambio di governo in meno di 30 giorni. L’originale esperimento del patto M5S/Lega si è sgretolato in pieno agosto, apparentemente per un autogol del leader del Carroccio, convinto di poter andare di corsa alle urne a conquistare la maggioranza assoluta assieme agli storici alleati del centrodestra. Per il Financial Times, senza un diverso orientamento dell’Unione europea, «il ritorno al potere di Salvini è solo una questione di tempo». Molto dipenderà, infatti, dalle imminenti scelte sulla legge di bilancio del governo Conte 2, che vede assieme partiti finora fortemente contrapposti. Una manovra “lacrime e sangue” farebbe crescere i consensi del centrodestra e il primo banco di prova saranno le elezioni regionali in Umbria, 800 mila abitanti, terra di san Francesco ma anche sede di tante logge massoniche; tradizionalmente di sinistra, ma con la città operaia di Terni che ha eletto, nel ballottaggio con i 5 stelle, un sindaco leghista.

Nuovo umanesimo alla prova

Come afferma l’economista Emiliano Brancaccio, la crescita di un certo tipo di destra «si riscontra negli ambienti stressati da una elevata competizione sociale e da un alto grado di diseguaglianza economica». Così, il primo necessario punto del programma, condiviso da M5S, Pd e Leu, prevede «una politica economica espansiva, senza compromettere l’equilibrio di finanza pubblica, per neutralizzare l’aumento dell’Iva e rendere effettivo il sostegno alle famiglie e ai disabili, il perseguimento di politiche per l’emergenza abitativa, maggiori risorse per scuola, università, ricerca e welfare». Affermazioni in linea con il “nuovo umanesimo” citato da Giuseppe Conte, confermato alla presidenza del Consiglio, quale orizzonte del nuovo governo. Un riferimento che trova una spiegazione nell’intervento che il giurista pugliese ha tenuto il 31 marzo 2019 al Festival dell’economia civile di Firenze, incentrato sull’alternativa del liberismo competitivo e ricco di citazioni dagli scritti di Amartya Sen e Antonio Genovesi. Secondo Leonardo Becchetti, è possibile costruire «un’altra agenda più vicina ai temi dell’economia civile», «mandare in soffitta lo scontro con l’Europa» e negoziare nuove regole sulle politiche fiscali. Ad esempio, decidendo di non conteggiare nel deficit le spese per gli investimenti produttivi. L’applicazione di questa “regola d’oro” permetterebbe, come ci ha detto Gustavo Piga, altro economista dell’Università di Roma 2, di poter fare «investimenti pubblici su infrastrutture, anche piccole, con effetti moltiplicativi per la nostra economia». Una scelta compiuta da Obama, addirittura da Trump, ma negata in Italia dal «prevalere di una ideologia liberista, assunta anche da settori prevalenti del centrosinistra, contraria, anche in casi gravi, ad ogni tipo di intervento pubblico nell’economia». Secondo Piga, che non si definisce di sinistra, «il ceto dirigente italiano ha un approccio elitario, incapace di ascoltare il grido di dolore delle persone comuni appartenenti ai ceti sociali impoveriti. L’attenzione è stata spostata tutta sul job act e la modifica dell’articolo 18».

Molto dipenderà da quanto riuscirà a fare il neoministro all’Economia Roberto Gualtieri, che arriva dalla Fondazione Gramsci ed è stato finora presidente della commissione problemi economici e monetari dell’Europarlamento.

Ambiente e migranti

Senza una diversa prospettiva di politica economica è, infatti, impossibile ipotizzare gli interventi contro il dissesto idrogeologico o la svolta annunciata dell’intero sistema produttivo verso la transizione ecologica. Oltre i vaghi riferimenti green, sarà decisiva, davanti a tanti interessi, la reale applicazione del referendum del 2011 sulla gestione pubblica dell’acqua. E poi non si potrà ignorare a lungo il contrasto evidente sulla costruzione della Tav in Val  di Susa, caso non ancora chiuso e sollevato da Salvini per rompere con i 5Stelle, definito il partito dei “No”. E come dimenticare l’incognita ambientale e produttiva sull’Ilva di Taranto? La conferma di Sergio Costa all’Ambiente è apprezzata da molti, eppure sono tanti e difficili i nodi da sciogliere per un governo che intende durare fino al 2023.

E la discontinuità è richiesta non solo al movimento, fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, che non si definisce di destra o di sinistra ma esprime una forte maggioranza parlamentare (oltre il 32% in entrambe le Camere) grazie alle elezioni del marzo 2018. Un patrimonio messo in pericolo dal protagonismo di Salvini, abile a capitalizzare la sua postazione da ministro dell’Interno fino ad incassare ben due decreti sicurezza che portano il suo nome e disegnano una politica delle migrazioni giudicata disumana e miope non solo da molte associazioni ma anche da autorevoli parlamentari M5S, ad esempio Gregorio De Falco e Sara Nugnes, poi espulsi per ferrea disciplina di partito. Forse si potrà uscire da tale deriva con l’arrivo al Viminale dell’ex prefetto di Milano, Luciana Lamorgese, seguendo le osservazioni di rispetto della Costituzione formulate da Mattarella. Ma la questione epocale delle migrazioni va affrontata in maniera globale, a cominciare da una revisione del trattato di Dublino in senso di solidarietà e corresponsabilità dei Paesi europei.

La paura dell’invasione, anche se non confermata dai numeri, è infatti, una molla potente nell’immaginazione collettiva e produce il consenso al grido di difesa: «Prima gli italiani!». Così come la rappresentazione, avanzata dall’economista Giulio Sapelli, del nuovo governo come di un protettorato franco-tedesco che cura gli interessi delle due nazioni egemoni in Europa. Per smentire tale tesi occorrerebbe, ad esempio, un’azione alternativa al protagonismo francese in Libia, riconoscendo l’errore, con gravi conseguenze, del sostegno alla guerra scatenata in Libia nel 2011. Si annuncia delicatissimo e decisivo il compito di Luigi Di Maio come ministro degli Esteri. Esemplare in tal senso il progressivo annacquamento di uno dei 20 punti programmatici avanzati in sede di trattativa per il governo Conte 2 e cioè l’impegno a «porre fine alla vendita degli armamenti ai Paesi belligeranti, incentivando i processi di riconversione industriale». Un «tema di bandiera ai limiti dell’ingenuità», secondo il quotidiano di Confindustria.

Temi omessi e ricerca di dialogo

È stata evidente, in sede di programma, l’omissione su altri temi eticamente sensibili, come la legislazione su eutanasia e suicidio assistito, sollecitata dalla Corte Costituzionale, o la questione dell’utero in affitto. Questioni cruciali, per restare umani, che non possono essere cucinate nei retrobottega con il prevalere di alcune cordate interne ai partiti o affidate al responso di qualche referendum digitale. In generale, come ha detto Romano Prodi riferendosi al Pd, esiste la necessità di un vero confronto dal basso, aperto e libero dall’urgenza di contarsi.

Un frutto del dialogo sembra arrivare dal consenso sull’assegno unico per i figli a carico come misura equa di contrasto all’irreversibile calo delle nascite in Italia. Una tendenza radicata, rivelatrice di un disagio profondo che interroga tutti, così come la crescita della povertà. Dopo tante polemiche sul cosiddetto reddito di cittadinanza, al ministero del Lavoro ora c’è Nunzia Catalfo, che lo ha proposto per prima.

Potrebbe essere arrivato il tempo di un confronto vero, capace di far tesoro di buone prassi, errori e false partenze, per trovare una strada giusta. Un cammino in salita tutto da verificare.

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