Un governo di destra che mira al centro
Il Cile è un Paese che ha cura delle istituzioni. Pertanto, nessuno si aspettava intoppi protocollari e tutto è filato liscio come l’olio: la presidente uscente, Michelle Bachelet, ha consegnato la fascia presidenziale tricolore (bianca, azzurra e rossa) al suo successore: di nuovo Sebastián Piñera. I due presidenti si sono alternati negli ultimi otto anni. E ora, per la seconda volta dopo il ritorno alla democrazia avvenuto ben 28 anni fa, un governo di destra prende le redini del Paese.
Appare evidente che Piñera cercherà di andare ben oltre il suo mandato assicurando alla destra un periodo di governo più lungo dell’attuale legislatura. Ed è possibile che ciò avvenga. Il suo discorso, durante la campagna elettorale, ha cominciato a girare sensibilmente verso il centro dello schieramento politico, annunciando la sua intenzione di migliorare alcune politiche sociali che in questi anni sono state il cavallo di battaglia del centrosinistra guidato (ma per modo di dire) dalla Bachelet. Prima tra tutte, la questione della gratuità dell’educazione elementare e superiore e di quella universitaria. Mentre le prime due fasi educative sono ormai gratuite, resta da completare quella del terzo livello. Attualmente, lo è parzialmente solo nel caso dei settori meno abbienti.
Piñera punta inoltre a potenziare un ministero sensibile, quello per lo Sviluppo sociale, che ora includerà anche le politiche familiari. Ha destinato a tale posto l’ex ministro degli Esteri del suo primo governo, Alfredo Moreno, una figura abile che farà parte del comitato politico del suo gabinetto, un circolo ridotto al quale sono ammessi i ministeri chiave.
I sondaggi dicono che in questi anni i settori della classe media, che sono il 65% della popolazione, hanno temuto di perdere la crescita registrata in precedenza. Altri temi si affacciano nell’agenda presidenziale ed hanno a che fare con i minori, dopo la scandalosa gestione degli istituti per minorenni dove ne sono morti circa 500 negli ultimi dieci anni, in alcuni casi denunciando imperizia e incuria dei responsabili.
Sarà possibile convertire in centrodestra l’attuale destra che arriva al potere? Piñera è leader di un partito, Rn, che ha preso distanza nei confronti della dittatura ultima, e con lui anche Evopoli, che è però un partito poco consistente. Più nostalgici sono invece gran parte dei membri del suo maggiore socio, la Udi. Tale taglio col passato è una condizione necessaria, ma non unica, per includere i militanti del centro in una possibile coalizione. Per questo occorre una sterzata sul sociale e che questa possa essere avvertita in modo tangibile dai cittadini che vivono con stipendi ancora troppo bassi, dovendo scegliere tra la poco affidabile sanità pubblica e la costosa sanità privata; o che vivono assillati dalle ipoteche e dai debiti di consumo, con banche le cui case madri non potrebbero applicare in Europa gli stessi tassi di interessi perché verrebbero denunciate immediatamente per usura.
Il centrosinistra che ha governato il Paese per 24 anni su 28 del periodo democratico, pare sfaldarsi sempre più. Il centro, soprattutto i democratici cristiani, tollera poco l’intransigenza di un comunismo che avrebbe bisogno di rileggere la storia a partire dalla caduta del Muro di Berlino, mentre il resto dei settori non riesce ad adeguare il proprio progressismo a un modello di gestione diverso da quello di stampo neoliberista, che caratterizza fortemente quest’economia. Ancora più a sinistra appare un 20% dell’elettorato con un nuovo soggetto, il Frente amplio, che dovrà dimostrare di saper trasformare la propria proposta in un programma applicabile e realista. Appaiono al suo interno forze nuove e forti componenti ideali insieme a una certa dose di volontarismo che dovrà però confrontarsi con la realtà. Ma è anche una ventata nuova e con volti giovani.
Tutti i partiti però dovrebbero prestare attenzione a due grandi sfide: la prima è capire da che parte sta la metà degli elettori che alle ultime elezioni sono rimasti a casa loro, di cui la maggior parte sono giovani. L’altra incognita è quella di come superare l’attuale classismo che spacca il Paese tra poveri e neri da una parte (basta aver la pelle un po’ meno chiara o vivere nei quartieri periferici per esser classificati così) e ricchi – o classe media – e bianchi (basta avere gli occhi chiari per esserlo). Migliore ridistribuzione degli ingressi e politiche sociali adeguate sono la chiave per un’inclusione sociale che ha bisogno anche di una cultura nuova. I conati di razzismo e di xenofobia di queste settimane nei confronti di immigranti, soprattutto haitiani, esprimono la necessità di aprire un nuovo fronte. Il nuovo governo sarà sensibile a tali istanze?