Un nuovo stato per gli Usa?

In un referendum consultivo ad astensione record, i portoricani hanno votato per l'annessione all’Unione, di cui sono uno “Stato libero associato” dal 1952. La parola finale ora passa al Congresso Usa, il cui voto non è scontato

L’11 giugno, in un referendum consultivo, i portoricani hanno votato per l’annessione agli Stati Uniti, con una schiacciante maggioranza del 97,18%. Una grande vittoria per il partito di governo che ha promosso la consulta.

Il problema è che ha votato appena il 23 % degli aventi diritto, motivo per il quale la vittoria se la attribuiscono i partiti oppositori, che avevano chiamato a boicottare un plebiscito preparato senza la loro partecipazione. Il Partito Indipendentista l’ha fatto perché tra le tre opzioni offerte dalla schede elettorali c’era anche quella “coloniale”, ovvero il mantenimento dello status di Stato Libero Associato. La terza era quella dell’indipendenza assoluta.

Ora la palla passa al Congresso statunitense, che dovrebbe legiferare a riguardo. Ma, nel contesto politico attuale, la cosa non è semplice. Da una parte, la maggioranza repubblicana teme che gli eventuali nuovi quattro o cinque parlamentari (oggi l’isola ne ha una sola, senza diritto a voto) facciano pendere l’ago della bilancia, almeno in alcuni casi, verso i democratici, data la tendenza politica portoricana. Dall’altra – e questo preoccuperebbe un po’ tutti i congressisti- con la new entry le casse federali si accollerebbero i 73 mila milioni di dollari di debito pubblico (vedi il precedente articolo) di quello che sarebbe lo Stato più povero dell’Unione e quello con la maggiore disoccupazione, il 12 %, il doppio della media-.

Che cosa cambierebbe, ad ogni modo, se il Porto Rico fosse il 51° stato Usa? L’isola caraibica è passata dalle mani spagnole a quelle nordamericane dopo la Guerra Ispanoamericana, nel 1898.

I portoricani sono cittadini statunitensi dal 1917, ma non godono degli stessi diritti dei loro “compatrioti”. Tra l’altro, non possono votare alle presidenziali, ma solo alle primarie, a meno che non risiedano negli States- è il caso di circa di un milione di loro-, e neppure essere beneficiari del welfare federale, ad eccezione della sanità.

Se facessero parte a pieno titolo dell’Unione, dovrebbero anche pagare le tasse federali, anche se – e questo è l’argomento principale degli annessionisti – sarebbero aiutati ad uscire dalla recentemente dichiarata bancarotta governativa dalle maggiori garanzie legali attribuiti agli Stati.

È la quinta volta che l’elettorato portoricano è chiamato ad esprimersi sulla sovranità dell’isola, ma è solo la seconda che i risultato è favorevole all’annessione. Nel 2012, il 61,1 % di un numero ben più alto di elettori scelse questa opzione, ma un record del 30 % di schede bianche o nulle fece nutrire dubbi circa la legittimità di quel voto. Infatti il Congresso non si pronunciò.

Pochi giorni dopo il referendum, il governatore Ricardo Rosselló si è recato a Washington per far lobby, insieme a due congressisti, presso il Legislativo federale.

«Ora che il popolo del Porto Rico si è espresso, tocca al Congresso occuparsene», ha affermato rispondendo a un giornalista il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer. Ma, come si diceva, non è detto che i parlamentari la pensino così.

 

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