Un gioco di squadra
«Il rugby è collaborazione, coesione, rispetto, sostegno. Valori che mi hanno formato, mi hanno aiutato a dare il meglio non solo per me, ma per la collettività». A parlare è un ragazzone di un metro e 89 per 102 kg, terza linea delle Zebre e della Nazionale. Si chiama Mata Maxime Esuite Mbanda, è nato a Roma 27 anni fa da madre campana e padre congolese, è cresciuto a Milano e lo scorso giugno è stato insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica.
La sua storia, la sua attività di volontariato presso l’associazione Seirs Croce Gialla di Parma sono finite su tutti i media nazionali: allo scoppiare dell’emergenza Covid-19 è sceso in campo, si è buttato nella mischia, ha ricevuto un compito e l’ha condiviso, come si fa nel rugby, con quella palla ovale che passa di mano in mano sino ad arrivare alla meta.
«Essere cresciuto in uno sport di squadra è stato fondamentale – racconta Maxime –. Sono entrato in un gruppo già formato, con persone che si conoscevano da tempo, ma la mia esperienza rugbistica mi ha permesso di superare l’imbarazzo dei primi momenti, le inevitabili incomprensioni che si possono venire a creare. La vita delle persone che trasportavamo da un ospedale all’altro era letteralmente nelle nostre mani, perciò bisognava essere sincronizzati alla perfezione. È stato un gioco di squadra a tutti gli effetti».
Un animo gentile, Maxime. Un ragazzo forgiato dai sacrifici che il suo sport impone, un atleta che tra un allenamento massacrante e un impegno internazionale − e con la non banale aggiunta di una laurea in Scienze motorie da conseguire («Ci siamo quasi – rivela –: dovrei finire a novembre») − prova a dare il suo contributo: «Le emozioni che l’esperienza di volontariato regala sono incredibili. Da adolescente mio papà mi aveva suggerito di fare qualcosa in quest’ambito, ma a 14 anni pensavo più al divertimento e ai miei sfizi che a piccoli gesti quotidiani utili a migliorare la vita di altre persone. Mi sono pentito di non aver iniziato prima». Vivere con gli altri, vivere per gli altri. E tessere rapporti, costruire legami, anche in situazioni di grave emergenza come quelle legate alla pandemia.
«Ho provato a stare vicino ai pazienti non solo a livello pratico – prosegue Maxime –. Nel trasporto da un ospedale all’altro cercavo di essere quasi un familiare per i malati, che non avevano nessuno di caro lì con loro. Di episodi da raccontare ce ne sarebbero tanti, ma uno lo ricordo congrande piacere. Ho avuto l’onore e la fortuna di riaccompagnare a casa Massimo, un signore di circa 70 anni che io stesso avevo portato in ospedale 20 giorni prima. Nonostante indossassi tutta una serie di dispositivi di protezione, lui mi ha riconosciuto: ci siamo fatti una bella chiacchierata, è stato un momento molto bello». Impegnarsi nella comunità. Quella vicino casa, a Parma, ma anche quella un po’ più lontana, nel segno della fraternità e, ovviamente, della palla ovale: «Da qualche anno supporto una squadra di rugby, Le Tre Rose di Casale Monferrato, costituita da rifugiati politici e richiedenti asilo: sono riuscito a trovare uno sponsor per acquisire i materiali per allenarsi». E si schermisce Maxime quando gli viene ricordato di essere un Cavaliere al merito della Repubblica, perché il primo pensiero va a «tutte le persone che vediamo sulle ambulanze, in gran parte volontari, che cercano di dare il loro contributo.
Per quanto mi renda pieno di orgoglio anche nei confronti dei miei genitori, con questa onorificenza quasi mi sembra di mancare di rispetto a tutte le persone che nel bel mezzo della pandemia hanno dato una mano. Certamente il fatto di essere un giocatore della Nazionale di rugby ha contribuito a rendere pubblica la mia attività». E a costituire un esempio per gli altri. «Ho anche voluto sensibilizzare le persone sul valore del volontariato – conclude Maxime – e i riscontri non sono mancati. Un mio vicino di casa ha iniziato a collaborare per la mia stessa associazione, mentre alcuni giovani atleti del Rugby Parma hanno trovato il modo di dare una mano nonostante fossero minorenni. Devo dire che il mio messaggio è arrivato a destinazione». Come la palla ovale, che passando di mano in mano termina la sua corsa in meta.