Un genoma vivo
Quando, nel giugno del 2000, il presidente americano Bill Clinton annunciò con orgoglio al mondo che era stato completato il sequenziamento del genoma umano, cioè la lista dei geni che compongono il Dna delle cellule, qualcuno storse la bocca.
Per tre motivi: primo, i geni dell’uomo sono troppo pochi, solo 20 mila! Altri animali, grandi e piccoli, anche più “semplici” di noi, ne hanno un numero maggiore. Ma come è possibile se noi siamo al vertice della complessità della natura?
Secondo motivo: la maggior parte del nostro patrimonio genetico appariva inutile. “Dna spazzatura” venne definito, perché non codificava per nessuna proteina, cioè non produceva sostanze utili alla cellula.
Infine, ultimo motivo di scandalo, eravamo “troppo simili” alle scimmie, nel senso che geneticamente la differenza era solo dell’ordine del 2-3%. Quali erano dunque le caratteristiche che ci rendevano invece così evidentemente diversi?
Pochi giorni fa, i 442 scienziati del progetto internazionale Encode, hanno sollevato un poco la nebbia che copre la soluzione. Non è il singolo gene, o il numero di geni complessivo che ci rende speciali. È la rete, cioè le interazioni tra i geni che rendono il nostro patrimonio molto più ricco e complesso di quello che si pensava finora. E una rete è dinamica e flessibile, tutto il contrario quindi di una gerarchia rigida e predeterminata.
Come risultato del progetto, siamo ora sicuri che almeno l’80 per cento del nostro genoma partecipa a qualche funzione biochimica, e che nella parte non codificante c'è proprio la centrale di controllo delle attività: altro che Dna spazzatura! Tanto è vero che ci si è accorti che alcune malattie potrebbero essere collegate proprio ad alterazioni di questa zona.
Lo schema risultante, chiamato pomposamente "Enciclopedia del genoma umano", sarà quindi il punto di partenza per ulteriori studi e scoperte. Una fra tutte, sembra che vi siano, nel nostro Dna, pezzi di Dna fossile, risalenti a chissà quando, che non sono morti del tutto, ma continuano ad operare, probabilmente influenzando altre zone del Dna.
In particolare si è avuta conferma di quello che si sapeva ormai da tempo, cioè che esiste tutta una gerarchia di geni (dai semplici esecutori, a quelli che coordinano il lavoro degli altri), oltre a circa un milione e mezzo di interruttori molecolari e centinaia di fattori di trascrizione, che rendono ragione della complessità della nostra struttura fisica.
Questi interruttori, attivando e spegnendo geni in modo incrociato, rendono dinamico il funzionamento del genoma, dando all’uomo la capacità di reagire con flessibilità e rapidità alle sollecitazioni dell’ambiente in cui si muove. Tutto il contrario di quella libreria statica di geni che avrebbe dovuto definire, rigidamente e una volta per tutte, il nostro comportamento e le nostre caratteristiche fisiche. Alla luce di questi risultati, si sta addirittura pensando di cambiare la definizione di cosa è un gene.
Comunque sia, ogni volta che la scienza trova qualche segnale che aumenta complessità e flessibilità – e quindi libertà e responsabilità –, di noi esseri umani, possiamo brindare. Siamo effettivamente speciali.