Un G20 per la pace, la proposta di Lula

Non si arresta l’iniziativa del presidente del Brasile per aprire la strada ad un cessate il fuoco e all’apertura di una fase negoziale del conflitto in Ucraina. Una nuova prospettiva multilaterale che chiede l’impegno della Cina e un ruolo attivo più attivo dell’Europa
Luiz Inacio Lula Da Silva (AP Photo/Eraldo Peres)

«Il Brasile può negoziare la fine della guerra in Ucraina?». È questa la domanda che si è posta  la rivista americana Foreign Policy prima del recente viaggio del presidente Lula in Cina. Tra le risposte possibili, la più pertinente è arrivata da un commento alla stampa rilasciato da un diplomatico dell’Itamaraty, il ministero degli affari esteri brasiliano: «Il Brasile sta solo proponendosi di collaborare affinché si arrivi a un negoziato che ponga fine alla guerra. Sarebbe molto arrogante se fossimo noi a proporre un piano di pace».

Se il quesito del Foreign Policy può lasciare qualche dubbio, una cosa, invece, è certa. L’impegno internazionale di Lula per dare una possibilità alla pace.

Il presidente brasiliano, come ha affermato Jorge Heine, ex diplomatico cileno professore alla Boston University sentito da Foreign Policy, «si sta giocando il proprio capitale politico». E sono molti coloro che, su lati opposti della barricata, ritengono questo impegno di Lula a favore della pace un azzardo.

Non c’è, infatti, analista politico che sulla guerra in Ucraina scommetta oggi su un negoziato. La Defense Intelligence Agency, cioè la principale agenzia militare di intelligence per l’estero, sostiene che la guerra in Ucraina non cesserà prima del 2024 e considera “improbabile” un negoziato nel 2023.

L’assenza, però, di una possibilità negoziale e, persino, di canali diplomatici utili allo scopo è una disgrazia per l’umanità. In primo luogo, per la popolazione ucraina e per tutte le vittime del conflitto. In secondo luogo – come evidenziato sempre da Foreign Policy – «la guerra sta imponendo costi elevati all’economia mondiale. Ha interrotto le catene di approvvigionamento, contribuendo all’inflazione elevata, al rialzo dei prezzi energetici (il petrolio potrebbe arrivare a 100 dollari a fine 2023 secondo Goldman Sachs) mentre i Paesi del sud del mondo risentono in modo drammatico della carenza di cibo», per il peso specifico rappresentato dall’export di grano russo e ucraino e di fertilizzanti russi.

«La guerra- sottolinea ancora l’autorevole rivista statunitense- sta polarizzando pericolosamente il sistema internazionale. Con la rivalità geopolitica tra l’Occidente e l’asse cinese-russo (Brics compresi) si accentua il ritorno a un mondo diviso in blocchi dove la maggior parte del globo preferisce il non allineamento, piuttosto che rimanere intrappolato in una nuova era di scontro Est-Ovest».

In aggiunta, i governi dei Paesi europei devono fare sempre più i conti sia con gli effetti economici e sociali della guerra, sia con opinioni pubbliche in larga parte contrarie a un conflitto senza limiti con la Russia. Nonostante ciò, tranne i ripetuti appelli di papa Francesco, non c’è politico attualmente al potere che parli esplicitamente di pace, cercando di interrompere – con la spirale del riarmo e dell’aumento delle spese militari – l’escalation della guerra.

Lula rappresenta un’eccezione. Nei giorni scorsi, in una conferenza stampa ad Abu Dhabi, ha ribadito: «Tutti sanno che ho già proposto la creazione di una specie di G-20 per la pace. Quando c’è stata la crisi economica del 2008, abbiamo rapidamente creato il G20 per cercare di salvare l’economia. Ora è importante creare un altro G20 per finire la guerra e stabilire la pace». Pur cosciente che la soluzione del conflitto non è semplice, il leader brasiliano è nondimeno impegnato a convincere altri leader internazionali in questa sua ricerca della fine della guerra. «Stiamo cercando di costruire un gruppo di paesi che non hanno nulla a che fare con la guerra, che non vogliono la guerra, che vogliono costruire la pace nel mondo, per parlare sia con la Russia che con la Nato».

Seppure la sua iniziativa sia stata accolta con scetticismo e qualche riserva negli Usa e in Ue, è evidente quanto sia necessario «iniziare a parlare di pace».

Richard N. Haass e Charles Kupchan, diplomatici di rilievo dei precedenti governi statunitensi, hanno scritto su Foreing Affairs,  rivista fondata nel 1922, che «l’Occidente e l’Ucraina hanno già raggiunto il loro obiettivo respingendo il tentativo della Russia di soggiogare il Paese e attuare un cambio di regime».

Pertanto, anche gli Stati Uniti e la Unione Europea dovrebbero iniziare a formulare un finale di partita diplomatico, sin da ora. Si tratta di proporre un cessate il fuoco in cui Ucraina e Russia ritirerebbero le loro truppe e le armi pesanti da una nuova linea di contatto creando una zona smilitarizzata monitorata da Onu o Ocse.

Al cessate il fuoco dovrebbero seguire colloqui di pace su due binari: uno tra Russia e Ucraina con mediatori internazionali, l’altro tra Nato e Russia per un dialogo strategico sul controllo degli armamenti.

Affinché ciò sia possibile è fondamentale, secondo molti osservatori internazionali, che la Cina (come richiesto anche dal presidente francese Emmanuel Macron) assuma un ruolo più deciso nella risoluzione del conflitto.

Invito rivolto a Xi Jimping anche da Lula, nel suo recente viaggio in Cina. Se c’è un’esile spiraglio da parte della Russia per sedersi ad un tavolo negoziale, questo è aperto verso le azioni messe in campo da Cina e Brasile. Rispetto alla guerra «ci deve essere un argomento per convincere Putin a fermarla», ha dichiarato Lula.

È per questo importante che, a conclusione della sua visita in Cina, Lula e il presidente Xi Jinping abbiano insieme sottolineato che «il dialogo e il negoziato sono l’unica via d’uscita praticabile per risolvere la crisi ucraina» e che «tutti gli sforzi per risolvere pacificamente la crisi dovrebbero essere incoraggiati e sostenuti», invitando più Paesi a svolgere un ruolo costruttivo nel promuovere la soluzione politica della crisi.

C’è nella posizione dell’ex-sindacalista metalmeccanico una linea coerente con la sua traiettoria politica e con gli interessi stessi del Brasile (e di tutta l’America Latina) di non allineamento e d’impegno sul fronte del multilateralismo.

Sin dall’incontro di febbraio con Joe Biden negli Stati Uniti, Lula ha detto di no a qualunque coinvolgimento militare del Brasile. E aveva già declinato la richiesta di Washington di fornire all’Ucraina gli armamenti russi in dotazione all’esercito brasiliano, sostituendoli con quelli americani. Lo stesso no, chiaro e forte, detto prima a Macron e poi a Scholz sull’invio di munizioni per i carri armati all’Ucraina.

Anche per questo, chi ha cuore la pace non può non seguire con grande interesse e speranza l’azione internazionale avviata dal presidente brasiliano, che da subito si è schierato (insieme ai presidenti di Argentina, Cile, Colombia e Messico) contro l’invasione russa in Ucraina, ma anche contro l’invio di armi. E, in queste settimane, ha avviato contatti e incontri con altri capi di Stato per costruire una coalizione di Paesi contro la guerra.

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