Un funerale islamico “parla” di fraternità

A Chiaramonte Gulfi (Rg) la morte di un immigrato senegalese accomuna musulmani e cattolici. L’Imam Kheit Abdelhafid guida la Salat al-Janazah (preghiera del defunto) e lancia un messaggio: «In Sicilia costruiamo la fraternità».

Ndour Samba Kane aveva un sogno: portare in Italia il figlio di 15 anni. Voleva che potesse studiare in Italia.  In Italia Samba, 57 anni, senegalese, era arrivato poco più di un anno fa, aveva ottenuto il permesso di soggiorno come rifugiato. Era ospite del centro di accoglienza “Nostra Signora di Gulfi” di Chiaramonte.

Il suo sogno si è infranto in un caldo pomeriggio estivo. Il 12 giugno, era stata organizzata una gita fuori porta al mare, a Marina di Ragusa. Lì, tra le onde, un improvviso malore. Inutili i soccorsi: il suo cuore ha cessato di battere dopo pochi minuti.

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Alcuni giorni dopo, nel cimitero di Chiaramonte Gulfi, si è svolto il funerale. Casualmente, ma emblematicamente, nella “Giornata del Rifugiato”. A presiederlo l’imam Keith Abdelhafid, presidente delle Comunità Islamiche di Sicilia. È lui a guidare la Salat al-Janazah (preghiera del defunto). Al funerale hanno partecipato in tanti: tutti i giovani ospiti dei progetti Sprar (ora Siproimi), in gran parte di fede musulmana, ma anche tanti cittadini che si sono stretti attorno al dolore della comunità islamica e del cugino, Malik Sakho, che vive a Sanremo, unico familiare presente. C’erano anche il sindaco, Sebastiano Gurrieri, il viceprefetto Ferdinando Trombadore, il parroco, don Salvatore Vaccaro, in rappresentanza della Diocesi, Maria Luisa Grisafi, del Servizio Sprar del ministero dell’Interno, Diop Pape Madoke, di Agrigento, rappresentante della Comunità senegalese, incaricato dal Consolato senegalese di Sicilia e Calabria. C’erano anche i responsabili di alcuni Sprar, Gianvito Distefano ed Alessandro Brullo. Sono loro a lanciare la proposta: il figlio di Samba deve venire in Italia. Non sarà facile ottenerlo, poiché il padre non c’è più. Ma cercheranno ogni strada per far si che il sogno di Samba possa avverarsi.

L'Imam Kheit Abdelhafid con don Vaccaro

Maria Luisa Grisafi ha detto: «Un momento tragico viene trasformato in un modello. Oggi, nel mondo, 70 milioni di persone sono in fuga dai loro Paesi. Di questi, 25 milioni sono rifugiati e 3 milioni sono i richiedenti. Sono persone che cercano una casa o che cercano di tornare a casa. In questo momento, a Chiaramonte, la casa siamo “noi”. Siamo noi qui, in Italia, chiamati a far da casa». Diop Pape Madoke ha letto dal Corano la storia del primo uomo, Adamo, per rimarcare le comuni origini delle due grandi religioni monoteiste.

Per Gianvito Distefano, questo momento segna una tappa fondamentale. Quel funerale vissuto insieme è un momento che segna, in modo nuovo, la condivisione tra la città ed i suoi nuovi cittadini, i migranti che qui trascorrono un periodo, sia pur breve, della loro vita.

«Noi vorremmo che questo momento diventasse la prima tappa di un percorso di integrazione e di scambio culturale nella nostra città. Vorremmo ospitare chi vorrà fare discernimento ed approfondire la fede musulmana. E all’Imam dico: «Venga pure quando vuole. Questa sarà anche la sua casa».

L’Imam Kheit Abdelhafid e don Salvatore Vaccaro hanno concluso insieme. «Questa è la terra di La Pira, di Camilleri – ha detto l’Imam – loro ci hanno dato un messaggio: siamo fratelli. Facciamo insieme il percorso per costruire una Sicilia migliore per noi e per i nostri figli. Vogliamo costruire un futuro di fraternità».

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