Un fondo monetario per l’Europa
La Commissione europea ha presentato una serie di proposte volte ad integrare il trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance economica nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea (Ue), facendo uso della flessibilità insita nel patto di stabilità e crescita. Nel 2012, infatti, i 25 Stati membri firmatari si sono impegnati ad incorporare nel diritto dell’UE le disposizioni contenute in tale trattato cinque anni dopo la sua entrata in vigore, vale a dire il 1° gennaio 2018. Anche il Parlamento europeo ha esortato ad agire in questo senso. L’obiettivo generale consiste nel rafforzare l’unità, l’efficienza e la responsabilità democratica dell’Unione economica e monetaria dell’Europa entro il 2025, con lo scopo di aumentare l’occupazione, la crescita, gli investimenti, l’equità sociale e la stabilità economica.
Una delle proposte più interessanti è l’istituzione di un Fondo monetario europeo (Fme), basato sulla struttura ormai consolidata del meccanismo europeo di stabilità (Mes), che negli ultimi anni ha svolto un ruolo determinante nel salvaguardare la stabilità della zona euro. Il Fme assisterebbe gli Stati membri che si trovano in difficoltà finanziarie, fornendo un meccanismo di backstop comune (cioè un rete di sicurezza che garantisca la liquidità necessaria alla risoluzione di eventuali crisi bancarie, anticipandola con prestiti finanziati o garantiti con risorse pubbliche) per il Fondo di risoluzione unico, che fungerebbe da prestatore di ultima istanza al fine di gestire in modo ordinato e controllato l’eventuale fallimento delle banche in difficoltà (senza che vi sia un impatto sulle finanze degli Stati). Il Fme funzionerebbe come il Fondo monetario internazionale (Fmi), dove gli Stati sottoscrivono delle quote e, in base a queste, hanno un peso nelle decisioni da prendere. Il Fme, rispetto a Mes, avrebbe un processo decisionale più rapido in caso di urgenza e un coinvolgimento più diretto degli Stati membri nella gestione dei programmi di assistenza finanziaria. Nel contempo, il Fme potrebbe dotarsi di nuovi strumenti finanziari, ad esempio per sostenere un’eventuale funzione di stabilizzazione.
La comunicazione della Commissione europea contempla anche le funzioni di un ministro europeo dell’economia e delle finanze, che sovrintenderebbe alle finanze pubbliche dell’Ue e sarebbe dotato di funzioni di bilancio essenziali per la zona euro e per l’intera Ue. Questa figura potrebbe altresì fungere da vicepresidente della Commissione e da presidente dell’Eurogruppo (che riunisce i ministri delle finanze di tutti gli Stati membri), sotto la cui supervisione agirà il Fme, in base agli attuali trattati dell’Ue. Riunendo le attuali responsabilità e le competenze disponibili, questa nuova carica rafforzerebbe la coerenza, l’efficienza, la trasparenza e la responsabilità democratica nella definizione delle politiche economiche dell’Ue e della zona euro, nel rispetto delle competenze nazionali. Il raggiungimento, entro il primo semestre del 2019, di un’intesa comune circa il ruolo del ministro permetterebbe di istituire tale figura quale componente della prossima Commissione europea, che verrà nominata nel 2019. L’Eurogruppo potrebbe però anche decidere di eleggere il ministro suo presidente per due mandati consecutivi in modo da allineare la durata dei due incarichi.
L’adozione delle proposte della Commissione europea permetterebbe di migliorare le azioni in ambito monetario e fiscale degli Stati membri dell’Ue, ma il percorso è ancora lungo e tortuoso. Infatti, queste proposte fanno parte di una tabella di marcia per un’Unione più unita, più forte e più democratica presentata dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, e della successiva agenda dei leader, presentata dal presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, nel percorso verso il vertice di Sibiu dove, il 9 maggio 2019, dovrebbero essere adottate decisioni importanti sul futuro dell’Europa. Il Parlamento europeo e il Consiglio dovrebbero adottare la proposta entro il primo semestre del 2019. Il 15 dicembre 2017 i leader dell’UE si sono riuniti per una prima discussione sulle prossime misure da adottare, in vista di una riunione ad hoc prevista per il 28 e il 29 giugno 2018 ai fini dell’adozione di decisioni concrete.
Inoltre, restano dubbi sull’assenso finale della Germania, che avrebbe preferito che il Fme fosse dotato di maggiori poteri di vigilanza sulle politiche fiscali degli Stati membri e, quindi, di controllo sui rispettivi conti pubblici. Se è vero che è necessario un coordinamento per fare fronte alle cosiddette esternalità, alle divergenze ed agli squilibri macroeconomici tra i Paesi dell’area euro, è pur vero che questo deve avvenire in un’ottica di coesione fra i vari Stati membri.
Infine, è necessario definire meglio la governance del Fme, dove le decisioni più importanti dovranno essere prese all’unanimità, come nel caso degli aumenti di capitale o del via libera al salvataggio di uno Stato membro, mentre l’erogazione delle risorse finanziarie dovrebbe essere deciso da una maggioranza qualificata, pari all’85% delle quote del Fme, laddove chi è in possesso del 15% delle stesse godrebbe di un diritto di veto. Finora, solamente Germania, Francia ed Italia godrebbero di questo privilegio ma se, come sembra plausibile, divenissero soci del Fme tutti gli Stati membri che fanno parte dell’Unione bancaria, l’attuale quota del 17,9% prevista per l’Italia scenderebbe sotto il 15%, lasciando quindi l’ultima parola al solito tandem franco-tedesco che guida da sempre il processo di integrazione europea ma che, per ora, non sembra avere chiara una direzione verso la quale pedalare.