Un flauto suonato dalla luce vivente

L'esperienza mistica di Ildegarda di Bingen, religiosa benedettina tedesca.
Ildegarda di Bingen

Ildegarda di Bingen è stata nel suo tempo una persona poliedrica: veggente, poeta, compositrice, medico, teologa, fondatrice di conventi. Intratteneva relazioni epistolari con personalità del mondo civile ed ecclesiale, come pure con persone del popolo. Ciò che l’ha resa una delle scrittrici medievali più famose, è la grande quantità di opere che ci ha lasciato: alcune storie della natura, della medicina e della cosmologia, lavori musicali, poesie e testi di teologia.

Tutto questo materiale aveva una fonte: le “visioni” involontarie che ebbe da piccola e che lei stessa accetterà gradualmente nella sua vita come sorgente di una conoscenza profetica. Quando aveva già superato i quarant’anni, la sua esperienza venne riconosciuta da due dei personaggi più eminenti della Chiesa del suo tempo: Bernardo di Chiaravalle e il papa Eugenio III.

Per lungo tempo si è stati molto scettici nei riguardi delle sue esperienze e si è cercato di capire che genere di esperienza avesse fatto. Tanti studiosi infatti esitavano a riconoscerla come un’autentica mistica. Ora, pensiamo di poter dire che Ildegarda abbia avuto un’esperienza molto profonda di unione con Dio, tanto da farle meritare un posto significativo fra i mistici della storia cristiana. 

Esperienza spirituale ed esperienza mistica 

Per capire l’esperienza di Ildegarda, mi sembra opportuno accennare brevemente alla definizione che la teologia spirituale offre dell’esperienza spirituale e mistica cristiana. Una delle definizioni dice che tale esperienza è un’incontro con Dio, attraverso Cristo, che prende tutta la persona e che le fa vedere e penetrare le verità della fede così: “La divinizzazione trasforma l’essere profondo della persona.(…) è l’esperienza religiosa determinata da contenuti specificamente cristiani: relazione personale con Dio, attraverso Cristo, negli atti religiosi della liturgia, nella stessa vita vissuta, attuando la parola evangelica, nell’innesto con le realtà ontologiche che costituiscono la dotazione interiore del cristiano, grazie, fede-speranza-carità, inserzione in Cristo e nella Chiesa (…) Si colloca nell’ordine dell’esperienza interpersonale, atto di relazione comunionale tra due soggetti. (…) È la totalità della persona che fa questa esperienza, e si riferisce ad una realtà, che è un altro soggetto definito, non ai propri sentimenti”1.

Ma dove si situa l’esperienza mistica in questo contesto? C’è una differenza fra esperienza cristiana ed esperienza mistica? La teologia spirituale risponde che “l’esperienza cristiana spirituale porta dentro la passività ricettiva della vita teologale: conoscenza del Dio rivelato, del suo amore e fedeltà al Dio vivo. Non le mancano connotazione propriamente ‘mistiche’ per giungere a vertici di pienezza. (…) In realtà essere o non essere mistico rappresenta diverse modalità normali della stessa grazia cristiana. La vita teologale presenta gli stessi tratti dell’esperienza mistica: comunione col Dio vivo presente e comunicativo, carattere intensamente personale, passività cosciente, intensità crescente, in ogni mediazione e forma di vita cristiana e umana. La mistica si presenta come una modalità eminente dell’esperienza cristiana, nella quale la presenza di Dio e la partecipazione del soggetto raggiungono particolare vigore e immediatezza. Agiscono gli stessi elementi che abbiamo appena visto: presenza e azione dello Spirito, comunione teologale, trasformazione personale, coscienza accentuata”2.

Questa descrizione ci fa capire che al fondo l’esperienza mistica è esperienza spirituale, ma caratterizzata da una più grande intensità e immediatezza: non solo si crede nel mistero di Dio come vero, ma se ne ha una percezione sensibile che coinvolge l’intera persona. Inoltre questa eseprienza è gratuita: non è l’uomo che cerca Dio, ma è Dio che si rivela per quello che è. 

“Luce vivente” 

Negli scritti di Ildegarda non troveremo un trattato su cosa sia l’esperienza spirituale. Attraversando tutta la sua opera, però, e identificando le caratteristiche della “sua esperienza spirituale”, si potranno far emergere nuovi aspetti dell’esperienza mistica.

In una lettera di Ildegarda a Wibert von Gembloux, un monaco benedettino che le aveva chiesto precise informazioni sulle sue visioni, troviamo tanti particolari della sua esperienza mistica che sono molto interessanti: “ (…) vedo le cose con la mutevolezza che caratterizza le nubi e le altre cose create. Non le ascolto con le orecchie esteriori, non le percepisco attraverso le vie segrete del mio cuore, né con l’ausilio dei miei cinque sensi: le vedo soltanto nella mia anima, con gli occhi esteriori aperti, senza che l’estasi mi venga meno, ma stando sveglia, e sia di giorno che di notte. Sono poi tanto afflitta da malesseri e da gravi dolori che mi sembra di morire da un momento all’altro.

(…) La luce che vedo non è legata ad uno spazio. È molto più splendente di una nube compenetrata dal sole. Non posso misurarne l’altezza, la lunghezza, l’ampiezza: la definisco l’ombra della “luce vivente”.

(…) Vedo, ascolto, e so contemporaneamente, perché tutto imparo nello stesso istante (…) Ciò che vedo ed ascolto in una visione, lo metto per iscritto in un rozzo latino senza nulla aggiungere. Nella visione le parole non sono simili a quello che suonano nella bocca (…) ma somigliano a fiamme (…) Non posso in alcun modo conoscere la conformazione di questa luce, così come non posso fissare perfettamente il disco del sole.

(…) In questa luce talvolta, ma non spesso, vedo un’altra luce che chiamo “luce vivente”, ma non so dire quando e in che modo io la vedo; però quando lo vedo, si allontanano da me tristezza ed angoscia.

(…) Non mi riconosco né nell’anima, né nel corpo e mi considero quasi un nulla: mi protendo allora verso il Dio vivente, gli affido ogni cosa” 3.

Nel testo risulta molto chiaro che la sua più profonda esperienza consiste nel vedere una luce che lei chiama ““luce vivente””. In un altro testo (introduzione del suo libro Scivias) descrive ancora più chiaramente come dal cielo viene una luce piena di fuoco che l’infiammava tutta: “ (…) mi si manifestò una luce ignea abbagliante, che venendo dal cielo che si era aperto, si riversò in tutto il mio cervello e, come una fiamma che non brucia ma riscalda, infiammò il mio cuore e il mio petto, così come il sole riscalda le cose quando su di esse spande i suoi raggi”4.

In questa visione di Ildegarda si ritrovano tanti elementi che Benz ricava dalla descrizione del fenomeno della luce nelle esperienze dei veggenti5. La luce è uno dei fenomeni più rincorrenti nella storia del cristianesimo: l’uomo vede questa luce e la descrive quasi sempre come una luce che è molto diversa dalla luce naturale del sole. Tante volte viene descritta come una luce calda, nella quale l’uomo si fonde in Dio. In Ildegarda proprio questa sembra essere l’esperienza più autentica dell’unione mistica con Dio. 

Vedere e sentire 

Da tutti i particolari che lei comunica, Ildegarda riceve soprattutto una conoscenza intellettuale delle cose che coinvolge non solo la sua mente, ma anche tutta la sua persona, perché parla “del cuore e del petto, che sono riscaldati”. Si potrebbe interpretare questo “riscaldare” come un’esperienza affettiva, che non solo fa capire con l’intelletto, ma anche “sentire” qualcosa.

Possiamo trovare un’ulteriore conferma nella sua spiegazione, quando dice che vedendo la luce si allontanano da lei tristezza ed angoscia. L’incontro con l’ombra della “luce vivente” o con la “luce vivente” la fa sentire diversa: “Io soffro molto in questa visione, anche per la fragile capacità di percepire che ho nella mia sensibilità (…) Sono poi tanto afflitta da malesseri e da gravi dolori che mi sembra di morire da un momento all’altro, ma fino ad oggi sono stata risparmiata dal Signore”6.

Si capisce la forza dell’esperienza che vive e che ha delle conseguenze anche sul piano fisico. Lei stessa sperimenta un cambiamento molto radicale: “non mi riconosco né nell’anima, né nel corpo”. È molto chiaro che Ildegarda quasi non esiste, ma è così presa in Dio che “si considera quasi come nulla davanti a Dio”. In queste parole emerge una caratteristica tipica delle esperienze mistiche: l’annullamento della persona in Dio.

In una lettera a Elisabeth di Schonau, Ildegarda esprime bene in che modo colloca se stessa in questa esperienza: “a volte emetto dei suoni come un piccolo flauto suonato dalla “luce vivente””7. Dio la investe completamente e lei esprime solo quello che Lui vuole farle dire. 

Parole simili a fiamme 

Quando la luce è meno intensa, Ildegarda comincia a vedere di più le immagini. Non spiega come si formano queste immagini, ma usa sempre termini come luce, fiamme, fuoco, grandissimo splendore: “ (…) io, creatura mortale (…) versatasi in me la divina ispirazione, vidi un fuoco splendidissimo, vivo, incommensurabile, inestinguibile”8. Nel suo lavoro Benz attesta che nelle visioni la luce può avere un’intensità più o meno grande e viene percepita nei colori più diversi. Il nucleo dell’esperienza di unione con Dio, afferma, è normalmente di un’intensità più grande e senza immagini9.

Ildegarda descrive molto bene come vede questi visioni: “le visioni che vedo, non le percepisco nei sogni, né quando riposo, né in stato di agitazioni, né con gli occhi e le orecchie del corpo, né in luogo appartati, ma vedendo in me con gli occhi e le orecchie interiori in luoghi visibili”. Qui si tratta probabilmente dei sensi spirituali che sono un aspetto costante nella storia della mistica cristiani.

In quasi tutte le visioni il vedere è accompagnato dal sentire. Ildegarda dice continuamente che lei non solo vede, ma sente anche una voce. Questo sentire fa dunque parte delle visioni. E in una delle sue visioni dice chiaramente che è la “luce vivente” che le parla: “udì quella luce vivente che mi diceva”10. Queste parole confermano quanto da lei descritto nella lettera a Wibert von Gembloux: “Nella visione le parole non sono simili a quello che suonano nella bocca (…) ma somigliano a fiamme”. Se nelle visioni le parole non sono parole umane, ma somigliano a fiamme, si può dire che il nucleo dell’esperienza mistica di Ildegarda è “la luce vivente”. 

Io sono la forza suprema e infuocata 

Qual è il contenuto dell’esperienza di Ildegarda? Fino ad ora abbiamo descritto l’esperienza in sé, distinta dal suo contenuto. Questa luce, come abbiamo visto, non la lascia indifferente, ma la cambia. Ci viene spontaneo pensare che Ildegarda, presa da Dio, da quel momento vede tutto da Lui. La “luce vivente” le fa capire come Dio vede le cose e le fa vedere come la vita dell’uomo deve essere vista da Dio.

Da questa unione profonda con Dio quindi non solo viene illuminata e cambiata la sua persona, ma Ildegarda riesce a capire da Dio, chi è Lui, come Lui vede il cosmo, il mondo, l’uomo e la relazione fra tutte le cose.

Da un’analisi più dettagliata di alcune visioni di Ildegarda, possiamo ricavare ciò che lei ha veramente sperimentato. Soprattutto viene in evidenza un aspetto tipico dell’esperienza mistica. Ciò che la persona sperimenta non è dato per la persona stessa, ma è per gli altri. Un elemento lo fa capire chiaramente.

In molte visioni Ildegarda descrive la “figura” che lei ha visto nella luce come “fuoco, fiamma” e lascia parlare questa figura. Ildegarda vuole farci capire che Dio stesso parla e che lei come persona non c’entra. Lei si ritira completamente e così ci fa direttamente partecipi di ciò che Dio le ha fatto vedere e ci lascia fare la “sua esperienza”. Partendo dalla luce che ha visto, e che ha trovato dappertutto, ci fa vedere chi è Dio.

Quanto più si avvicina al nucleo della sua esperienza, tanto più usa termini di luce. Ildegarda non vedeva nessuna immagine, ma solo la grande luce che un po’ alla volta identificherà. Quanto più penetra nell’essenza di Dio, tanto più tutto parla di splendore, fuoco e luce che non si può vedere con gli occhi umani. Ed ecco il culmine della sua esperienza mistica: da questa luce a poco a poco vede tutta la realtà in un modo diverso: “Allora la sovrabbondanza di amore risplende e brilla in un tale sublime splendore dei suoi doni, che trascende ogni comprensione dell’intelletto umano, con la quale si riesce a vedere le cose più diverse nell’anima, in tal modo che nessun lo può capire con i suoi sensi”11.

La sua grande esperienza è scoprire in questa luce chi è Dio veramente: “È il Dio creatore”. Dall’analisi del suo libro De operatione Dei (L’origine della creazione) tale scoperta emerge con tutta evidenza. Le sue parole parlano di fuoco e luce che danno vita. Ildegarda ha visto come la “luce vivente” si comunica alla creazione e da quella luce lei vede tutto il creato prendere vita.

“Io sono la forza suprema e infuocata, che ha acceso tutte le scintille viventi”: Ildegarda ha visto una grande luce che è penetrata in tutto il creato. Quando successivamente in questa visione descrive la creazione, ci fa vedere in uno spettacolo stupendo come la natura prende vita da questa luce, come questo fuoco si comunica al creato: “E con il soffio dell’aria, risveglio in tutte le cose una vita invisibile, che tutte le sostiene insieme”.

Tutto prende vita: “Infatti, l’aria vive nel rigoglio e nei fiori, le acque scorrono come se fossero vive, e anche il sole è vivo, nella sua luce, e quando per la luna sarà giunto il momento di svanire, il sole sarà acceso da una luce, come se vivesse di nuovo; anche le stelle fanno luce con il loro chiarore come se fossero vive”. 

La visione della Trinità e di Cristo 

Altre visioni ci dicono che questo stesso Dio creatore è costituito da tre elementi: “Vidi una luce molto fulgida ed in essa una forma d’uomo dal colore di zaffiro che ardeva tutto di un soavissimo fuoco rutilante; quella luce fulgida si diffuse per l’intero fuoco rutilante, e questo fuoco rutilante per quella luce splendente e quel fuoco rutilante per l’intera forma dell’uomo, generando un solo lume di un’unica virtù e potenza”. Ci sembra di poter intravedere in questa “luce vivente” Dio che è Trinità. Analizzando le sue visioni, dappertutto c’è la presenza della Trinità.

Un altro elemento essenziale delle visioni di Ildegarda è l’incontro con Cristo nella “luce vivente”: “Quello che tu vedi nel mistero di Dio in mezzo al cielo del Sud, un immagine meravigliosa, fatto come un uomo, rappresenta l’amore del Padre celeste (…) Appare nella forma di un uomo, perché il Figlio di Dio, quando si è vestito di carne, a servizio dell’Amore, ha redento gli uomini perduti”

Infine, nella visione della creazione Ildegarda capisce che questo Dio è amore e come questo amore è in tutte le cose: “Questo fuoco aveva in sé una fiamma dal colore di bronzo che ardeva intensamente con un leggero soffio. La fiamma aderiva al fuoco splendente come le viscere all’uomo. E vidi che la fiamma sprigionando un fulmine, divenne incandescente”. 

Conclusione 

Ildegarda non ha cercato questa esperienza mistica da se stessa. Le è stata donata gratuitamente: Dio l’ha presa e inondata di se stesso. La “luce vivente” l’ha resa capace di vedere dagli occhi di Dio le verità della fede cristiana e tutta la realtà creata e il cosmo.

Nelle sue descrizioni appare in modo molto chiaro che esiste una certa passività: “Quando avevo tre anni, vedevo una grande luce, che illuminava la mia anima, ma perché ero ancora piccola, non potevo dirne niente”12. A cinque anni Ildegarda comincia ad avere visioni con immagini: “La forza e il misterioso significato della visione l’ho sperimentato in un modo meraviglioso da quando ero piccola, da quando avevo cinque anni, come ancora oggi”13.

L’esperienza mistica di Ildegarda non rimane chiusa nella sua persona, ma è al servizio della Chiesa e di tutta l’umanità. È fonte di luce per tutti, è una luce che Ildegarda comunica a tutti. La sua esperienza profonda di Dio la rende sicura e autorevole nel rapporto con le persone. Le sue lettere, che fanno vedere anche la dimensione ecclesiale della sua esperienza mistica, ci dimostrano come la “luce vivente” abbia reso capace Ildegarda di consigliare persone di tutte le età e classi sociali. Ildegarda parla con autorità, non tanto perché ha capito, ma perché ha visto e sentito.

 

NOTE

1 F. Ruiz, Le vie dello Spirito. Sintesi di teologia spirituale, Bologna 1999, pp. 316-318.

2 Ib., pp. 323-324.

3 Ildegarda di Bingen, Rivelazioni divine, a cura di Salvatore Di Meglio, Padova 1993, p. 51.

4 Ib., p. 55.

5 E. Benz, Die Vision, Erfahrungsformen und Bilderwelt, Stuttgart 1969. pp. 326-340.

6 Ildegarda di Bingen, Rivelazioni divine, op. cit., p. 52.

7 Ib., p. 118.

8 Ib., p. 59.

9 Ernst Benz, Die Vision, op. cit., pp. 326-340.

10 Ildegarda di Bingen, in Rivelazioni divine, op. cit., p. 90.

11 Traduzione dall’edizione tedesca della sua opera Liber divinorum operum, H. Schipperges, Welt und Mensch, p. 27.

12 A. Fuhrkötter, Das Leben der Heiligen Hildegard von Bingen, Düsseldorf 1968, p. 64.

13 Ib., p. 64. 

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