Come un filo d’erba. La vita di Egidio Santanché
Lo chiamavano Soave. Per una innata e spiccata delicatezza e dolcezza d’animo. Al secolo, Egidio Santanché (1927-2005)), psichiatra e pediatra, protagonista della storia del Movimento dei Focolari. Antonio Coccoluto, legato a lui da profonda e lunga amicizia, ha deciso di raccontare la sua vita. Gli abbiamo rivolto alcune domande:
D: Perché la scelta di raccontare la vita di Egidio Santanchè? Quale messaggio può comunicare ripercorrere le tappe principali della sua vita?
Questo libro non è una vera e propria biografia e non vuole rappresentare una ricostruzione storica, peraltro impossibile, di una vicenda particolare e delicata per i risvolti che tocca e per le persone coinvolte. Esso è, invece, il racconto di una esperienza condivisa per vari decenni che presenta la sorprendente vicenda umana e interiore di un protagonista nascosto se non quasi sconosciuto del Movimento dei Focolari fin dalla prima ora del suo approdo nella Capitale agli inizi degli anni ’50. Il tratto più sorprendente di tutta la storia, che in molti aspetti potrebbe apparire davvero fuori dall’ordinario, è il connubio continuo e quasi naturale tra due dimensioni apparentemente inconciliabili: una sorprendente laicità e una profonda spiritualità.
In fondo tutto il racconto mette in mostra l’azione misteriosa dello Spirito che è sempre presente nelle vicende umane e in particolar modo nella conduzione dei carismi che elargisce nella storia dell’umanità a determinate persone, che hanno bisogno di compagni di viaggio adeguati a quel rapporto di reciprocità che non indulge in atteggiamenti di sottomissione o in riverenze inutili, ma si fa carico del “peso della grazia” in azione.
D: Nella vita di Egidio Santanchè la conoscenza di Chiara Lubich e la successiva appartenenza (fedele e radicale) alla spiritualità dei Focolari sono state fondamentali. Com’era il rapporto di Egidio con Chiara Lubich?
A questa domanda risponde tutto il libro in ogni sua pagina, ma per come è, volutamente, costruito non è opportuno svelare quella che – come dico all’inizio – è una vera e propria caccia al tesoro che quindi non va anticipata. Quello che si può dire, in maniera un po’ iperbolica, è che in fondo ho scritto più di 300 pagine per affermare una sola cosa che è sintetizzata magistralmente dalle parole di Edith Stein riportate alla fine:
“Nella notte più oscura sorgono i più grandi profeti e i santi. Tuttavia, la corrente vivificante della vita mistica rimane invisibile. Sicuramente gli avvenimenti decisivi della storia del mondo sono stati essenzialmente influenzati da anime sulle quali nulla viene detto nei libri di storia. E quali siano le anime che dobbiamo ringraziare per gli avvenimenti decisivi della nostra vita personale, è qualcosa che sapremo soltanto nel giorno in cui tutto ciò che è nascosto sarà svelato”.
Tutto ciò viene in evidenza distintamente in quello che è il filo conduttore, sebbene per lunghi tratti non evidente come un fiume carsico sotterraneo, di tutto il libro e si riferisce al rapporto del protagonista con Chiara Lubich e al ruolo che non solo le circostanze hanno permesso che lui svolgesse per lei. Allo stesso tempo tale rapporto, pur se è restato nascosto a quasi tutti nel suo più vero significato, ha sicuramente avuto implicazioni difficilmente valutabili. È quello che si intuisce dalla confidenza, dalla semplicità e dal parlare chiaro e, in alcuni tratti, crudo della corrispondenza riportata.
D: Hai conosciuto personalmente Egidio e sulla base di questa conoscenza hai scritto il libro. Hai un ricordo personale da condividere con i lettori?
Il libro è pieno di episodi, flashbacks, situazioni legate al mio vissuto e al mio rapporto con Egidio-Soave. Anzi è costruito proprio sulla mia personale esperienza con il protagonista – una di quelle pochissime persone davvero determinanti per la propria vita ,– e da un sodalizio durato 30 anni. Pertanto, anche in questo caso, è meglio non svelare quanto chi leggerà troverà dipanato lungo tutta la storia raccontata. Se però debbo fare una eccezione vorrei riportare quanto racconto proprio alla fine ed è un brano di una lettera che mi scrisse nel maggio del 1986, in un periodo davvero molto difficile per me.
“Antonio carissimo, grazie della tua lettera! Veramente l’unità è eterna! come Dio! […] Certamente l’Eterno Padre sta lavorando… anzi inizia a lavorare. Veramente occorre stare fermi, come la creta nelle mani del vasaio. Non serve guardare alle assurdità esterne, neanche alle soddisfazioni, se ce ne sono; l’importante è avvertire la mano che modella, non impressionarsi del vortice che sembra stordire, che toglie il fiato… Verrebbe da pensare che in altre situazioni ci sarebbe tanto più da concludere, da raccogliere, invece occorre star fermi finché non prende corpo un’altra figura: quella che noi non conosciamo ma che il vasaio sa, quella tanto lontana dai nostri gusti e pensieri umani, dai nostri progetti e desideri, quella che mai avremmo immaginato. Non sembri questo linguaggio teorico. È l’unico che vale. Quello che ci prepara la “veste nuziale”, quello che è alla base dello sconosciuto disegno che Dio conosce e attua a patto che noi siamo docili, fermi…”
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