Un figlio si fa o si trova?
“Dopo nove anni di matrimonio non abbiamo figli. Ci interroghiamo sull’adozione. Essere genitori non è “fare” un figlio, ma educarlo e crescere con lui. Cosa ne pensate? La cosa ci affascina ma abbiamo paura degli imprevisti”. Maria e Martino – Roma La vostra lettera ci da modo di ricordare la recente iniziativa del Movimento Famiglie Nuove – Amu, che da poco ha ottenuto il riconoscimento ad ente autorizzato alle adozioni internazionali. Ne abbiamo già parlato su queste pagine (vedi Città Nuova n.7/2001, p. 30). Da allora, oltre cinquecento coppie si sono presentate per richiederla. Tutte di convinzioni ed aree culturali diverse, ma legate dall’amore che si apre all’accoglienza. Certo, devono compiere un iter formativo ed informativo che li confermi responsabilmente nella loro scelta, ma mi sembra significativo questo convergere di interesse verso l’adozione. C’è spesso a monte un cammino di coppia percorso nel quotidiano, spesso attraverso esperienze dolorose, che fa maturare il sì ad una nuova persona, a cui dedicare la propria cura. Per voi che vi interrogate sulla cosa, abbiamo raccolto qualche voce dal vivo: “Tre volte abbiamo perso il bambino che stavamo aspettando, poi la proposta di accoglierne uno, orfano di madre, ma con il padre e alcuni fratellini. Non è stato facile conciliare le aspettative della sua famiglia di origine con quelle della nostra famiglia, ma questo amore ricostruito ogni giorno, ha permesso a Francesco di svilupparerapporti positivi che hanno reso felici tutti”. “Avevamo già due figli, ma una telefonata da un paese lontano ci ha cambiato la vita. Le difficoltà che ci aspettavamo dall’incontro con la nostra piccola africana si sono presentate presto e spesso diverse da quelle che immaginavamo. Dovevamo essere disposti a riorganizzare la nostra vita, a modificare alcuni criteri educativi ben collaudati, accogliendo elementi culturali nuovi. Gli altri figli ci hanno aiutato moltissimo, coinvolgendo la piccola nella vita di famiglia, condividendo con lei i loro spazi. Ne hanno guadagnato in maturità umana e capacità di relazione con gli altri”. “Il nostro sogno di formare una bella famiglia con tanti bambini era impossibile da realizzare. Con il sostegno di altre famiglie, abbiamo accolto un bambino handicappato. Si trattava di aiutare una persona a crescere secondo la sua misura, ad acquistare abitudini positive, a dare senso allo scorrere del tempo. Per sostenere la sua capacità di socializzazione, che nel tempo si è dimostrata migliore del previsto, è stato fondamentale il rapporto con quelle altre famiglie. Quando Paolo dimostra di sentirsi amato, mi sento la sua mamma a tutti gli effetti”. I genitori adottivi, nel realizzare pienamente la loro naturale, legittima aspirazione alla paternità e maternità, aiutano tutti noi, genitori naturali, a guardare il figlio come un “altro”, sempre e comunque venuto da lontano, con una identità e dignità che non siamo noi a dargli, ma che ha ricevuto dalla sua misteriosa genealogia. A noi è affidato perché cresca, si sviluppi e maturi. È davvero un dono ricevuto.