Quando un figlio non arriva

Ogni coppia che desidera un figlio va incontro, pur nella specificità della propria storia, ad alcune fasi che aprono scenari nuovi. Le emozioni riconosciute, accolte e poi raccontate aiutano a superare tutto: sia l’attesa prolungata sia una dolorosa diagnosi di infertilità di coppia
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Quando una coppia si apre alla vita desiderando un figlio, ha dentro di sé un bagaglio di desideri, pensieri, emozioni, aspettative (condivise e non). Mentalmente ed affettivamente la coppia prepara il “nido”, ovvero lo spazio in cui accogliere il bambino.

Ci sono coppie che senza neppure rendersene conto si ritrovano incinte, mentre altre attendono a lungo prima di poter avere una gravidanza e non sempre questa è possibile. In quest’ultimo caso la coppia si trova a dover prendere una prima grande decisione: condividere il loro desiderio di diventare genitori, o tenerlo nel riserbo.

Ogni coppia è differente e ciascuno dovrebbe tenere in conto più aspetti:

  • il personale in modo di affrontare le cose di ciascuno dei due membri della coppia,
  • una decisione comune su come si comporteranno,
  • la consapevolezza che parlarne con persone di fiducia può fare bene, permette di ottenere notizie e di calmare eventuali ansie.

Occorre fare attenzione a non oscillare tra i due estremi opposti: la chiusura totale e l’enfatizzazione e tener conto che non sempre facile individuare le persone con cui si vuole condividere questo aspetto molto importante della propria intimità personale e familiare.

Quando il figlio atteso tarda ad arrivare, la tensione, l’ansia e le paure possono farsi strada. Un medico accogliente e preparato saprà tener conto anche di questo nell’accogliere la coppia che chiede aiuto. Questa accoglienza “empatica” previene o attenua i vissuti di autocolpevolezza, i rimproveri e il senso di smarrimento.

Dopo una prima fase di speranza, la coppia si deve inevitabilmente confrontare anche con le relazioni sociali in cui è immersa: altre coppie restano incinte ed hanno figli, i parenti carinamente si informano. È il tempo i cui chi riesce a vivere positivamente l’attesa può trovare modo di aprirsi agli altri, chi invece soffre di questo ritardo, tende a chiudersi nel proprio dolore ancora di più.

Gli esiti delle indagini possono portare a diversi risultati.

La coppia che sta nell’attesa. Si tratta di coppie per le quali non è identificabile una causa di infertilità. La gravidanza è possibile ma tarda ad arrivare. Queste coppie vivono appieno l’attesa e questa non è mai facile. Essa è un tempo ancora per sé ma è un tempo che già si vorrebbe mettere a disposizione del figlio desiderato. Il desiderio fa sì che ci si confronti costantemente con l’assenza, il vuoto, concetti che inevitabilmente generano ansie, paure, frustrazione e possono portare a meccanismi di iperinvestimento in alcune aree della propria vita per colmare questo senso di vuoto e riempire l’attesa o di disinvestimento emotivo che comporta una perdita di speranza. Entrambi questi atteggiamenti a lungo andare possono rivelarsi deleteri per la coppia o chi tra i due coniugi se ne fa portavoce. E importante invece in questa fase ridurre il più possibile le fonti di stress e dedicare attenzione sia a se stessi ed al proprio benessere sia al noi della coppia e alla crescita di una sempre maggiore intimità.

 La coppia infertile. Si tratta di quelle coppie in cui uno dei due coniugi o eccezionalmente entrambi, sono portatori di un limite fisico, rimovibile o permanente, che impedisce la gravidanza in maniera naturale. In queste situazioni si parla infertilità di coppia proprio per sostenere la funzione “noi” della coppia che insieme dovrà trovare gli strumenti per affrontare la notizia. Le reazioni emotive di una coppia che si scopre infertile possono essere differenti: alcune si chiudono nel proprio dolore; altre si sentono arrabbiate e quasi punite; altre riescono ad aprirsi prima con le persone più vicine e poi pian piano anche con gli altri fino a desiderare anche forme alternative di genitorialità.

Di cosa si compone quel dolore non espresso?

Ciascuno nella vita si confronta con sogni e desideri che non sempre possono realizzarsi. Confrontarsi con un limite fino ad accettarlo è un cammino graduale. Nel desiderio di maternità e di paternità, non è solo un limite da accettare, è anche un fare i conti con il confronto che spontaneamente si fa con gli altri esseri umani della propria specie, con un richiamo ancestrale al proprio essere femmina e maschio con la possibilità di tramandare la specie, con la paura di deludere le aspettative del coniuge e delle famiglie d’origine, con il senso di vergogna ed il dolore di fronte alla scoperta che in sé qualcosa non va.

Si tratta di un vero e proprio lutto e come tale se ne attraversano tutte le fasi: il rifiuto e la voglia di non credere che sia vero, la rabbia, la ricerca di negoziazioni o soluzioni alternative, la depressione e il dolore dell’accettazione. Elaborare questo lutto significa doversi necessariamente pensare con una visione personale più ampia e una mission di vita che non si riduce all’idea di essere moglie/madre o marito/padre ma che torni a contemplare l’essere umano come persona, come uomo e donna capace di sviluppare relazioni significative oltre i confini della progenitura. È da questo dolore che per molte coppie nasce il desiderio di trovare forme nuove di essere padri e madri attraverso l’adozione o l’affidamento.

 

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