Un festival di giovani

Con il 20 per cento in più di biglietti venduti e la partecipazione di oltre 20 mila ragazzi si è chiusa la rassegna romana. Tir di Alberto Fasulo si aggiudica il Marco Aurelio d'oro e The discipline della finlandese Ulrika Bengts vince la sezione "Alice in città"
Alberto Fasulo vince il Marco Aurelio d'oro al Festival del cinema di Roma per il film"Tir"

Da otto anni si dice che il Festival del cinema di Roma non riesce a trovare la propria identità. Festival o festa, o tutte e due insieme, come suggeriva l’ideatore, cioè Walter Veltroni? In verità la rassegna ne ha passate di tutti i colori: dal glamour alla festa strapaesana, dai film d’autore alla sfida con Venezia e Torino, non ancora chiusa. E poi sempre a dire che il cinema italiano va malissimo e che meno male che c’è Checco Zalone con i suoi 30 milioni d’incasso… Le geremiadi, in cui noi italiani siamo specialisti, non finiscono mai.

Quest’anno con il venti per cento in più di biglietti venduti e soprattutto con oltre 20 mila tra giovani e ragazzi che hanno affollato chiassosamente – finalmente un po’ di vita! – il Parco della musica, pare che l’identità più vera della rassegna ormai sia l’universo giovanile, il focus su di esso che la bella sezione Alice in città sfodera puntualmente con film interessanti, internazionali e mai banali, di cui abbiamo parlato più volte nei servizi precedenti. Il film vincitore The disciple della finlandese Ulrika Bengts, storia di due ragazzi in un’isola con tanto di faro nell’estate del ’39 sul Baltico, è appunto una di quelle opere – fra cui l’italiana Se chiudo gli occhi non sono più qui di Moroni – di disarmante vena introspettiva e straordinaria capacità attoriale dei giovani protagonisti.

È infatti il mondo giovanile, gli affetti familiari, il filo rosso non solo di questa sezione, ma in fondo di tutto il festival. Nonostante la propaganda mediatica sulla fine della famiglia “tradizionale” c’è invece una gran voglia di famiglia tout court, che si vuole unita e amorevole.

Ecco perché il Marco Aurelio d’oro dato al docu-film Tir (speriamo non sia una moda che segue Venezia) di Alberto Fasulo – un premio del tutto sorprendente – si incanala in questa linea ed esigenza, raccontando del camionista che nei suoi viaggi  europei vive una contrastata storia d’amore con la moglie al telefono, in un road movie equilibrato, sincero, bello nei paesaggi e nel volto onesto dell’attore Branko Zavrsan. Un film che si ama o si detesta, ma tant’è, è stato premiato e quindi qualcosa di buono ce l’ha da dire. Se non altro la poesia del quotidiano, la dura fatica del reale, dove la poesia è negli sguardi, nei colori del cielo e nei lunghi silenzi. Non un capolavoro, certo, ma un’opera  ammirevole per coraggio e discrezione su un ambiente ignoto ai più.

La famiglia invece non ce l’ha o ce la vorrebbe avere Matthew McConaughey, miglior attore per Dallas Buyers Club, texano indisciplinato in lotta con l’Aids, come pure Scarlett Johansson come voce recitante nell’inquietante Hier: entrambi, premiati, hanno mandato tanti saluti….

Già, perché di star quest’anno pochine, come poco glamour e – questa sì che è una fortuna – scarsissimi o nulli i politici. Che il festival si stia liberando di questi personaggi onnipresenti a ogni edizione? Difficile dirlo, visto che siamo a Roma!

Per il 2014 si annuncia lo spostamento della rassegna a novembre, quindi lontano da Venezia ma in contemporanea con Torino: la sfida continua. Ma non è andata infine così male, quest’anno. Si sono visti film molto belli, come il russo Stalingrad, e anche novità nostrane, vedi Come il vento di Puccioni, oltre alla storia rumena dei tempi di Ceausescu Quod erat demonstrandum, tremendo apologo su un mondo senza dignità e amore.

Non era male questa edizione: anzi, azzardiamo, forse è la migliore, l’inizio di una identità, di una ripresa? Speriamo.

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